Conoscere se stessi attraverso il dolore. Riscoprire la propria vita attraverso la fuga. È con queste premesse che iniziamo la nostra recensione di Mi chiedo quando ti mancherò, film basato sull'omonimo romanzo di formazione di Amanda Davis e diretto da Francesco Fei. In tour nelle sale italiane dal 1 luglio, questo racconto di formazione inizia con una fuga. Azione che separa nettamente il passato dal presente, la fuga è alla base del discorso narrativo su cui si inserisce la storia di Amanda, una ragazza con un passato difficile e doloroso che farà di tutto pur di ritrovare una determinata voglia di vita. E soprattutto a mettere a fuoco sé stessa: chi è, cosa vuole diventare. Un passaggio di crescita negli anni più difficili, quelli dell'adolescenza, dove il disagio della propria identità è vittima di giudizi esterni. È una storia di fiducia ritrovata che mette in mostra il talento della giovane Beatrice Grannò, assoluta protagonista del film.
Storia di una fuga
I battiti di un cuore sotto sforzo. Inizia così Mi chiedo quanto ti mancherò, in medias res, con le due protagoniste che stanno correndo lungo una strada, le sirene della polizia dietro di loro. Non devono fermarsi, devono proseguire nonostante il fiatone fino a trovare rifugio in una casa abbandonata, dove si cambieranno pettinatura, abiti e potranno cercare di costruirsi una nuova vita. La ragazza più fragile si chiama Amanda e sta scappando insieme alla sua amica Cicciona. Il primo di una serie di flashback inizierà a rendere allo spettatore i motivi che stanno dietro a questa fuga. Quello delle nostre protagoniste è un passato doloroso, dove la vita scolastica è composta da bullismo, offese ("Flaccida" come soprannome) e continue prese in giro, anche da parte di chi sembra più gentile. Vittime di abusi e della propria identità, Amanda e la sua amica decideranno di scappare per ritrovare il proprio posto nel mondo e riscoprire l'amore per loro stesse. Troveranno asilo in un gruppo di circensi itineranti, ma non senza difficoltà. Perché crescere vuol dire anche venire a patti con ostacoli sempre maggiori.
Tra passato e presente
La storia viene raccontata attraverso l'alternanza di passato e presente. Due tipologie di racconto diverse (l'una più cupa e asfissiante, l'altra più solare e vasta tipica delle storie on the road) che comunicano tra di loro fino ad arrivare a incrociarsi definitivamente. La storia appartenente alla dimensione del passato è la più riuscita del film, grazie a una serie di sequenze molto forti e a un uso della macchina da presa davvero potente. In queste occasioni, come in una lunga scena ambientata in un parcheggio, la sensazione è di assistere a qualcosa di veramente terribile. Sensazione che viene ulteriormente sottolineata dalle continue inquadrature in soggettiva, che abbracciano lo specchio visivo della ragazza protagonista e fanno partecipe lo spettatore in maniera davvero viscerale. Sono i momenti migliori del film perché con pochissimo e con il solo linguaggio cinematografico si riesce a costruire una forte legame empatico con Amanda, dando vita a un racconto di sofferenza davvero chiaro e urgente. Legame che viene messo a dura prova durante i momenti ambientati nel presente, dove il racconto sembra girare un po' troppo a vuoto, lasciando un'amara sensazione di riempitivo sin troppo allungato e non particolarmente avvincente. Colpa anche di una rivelazione non troppo riuscita (perché parecchio prevedibile) e resa esplicita troppo presto all'interno del film che fa perdere la tensione drammaturgica del tutto. Il percorso che la protagonista è costretta ad affrontare non appare così sentito e faticoso, mancando l'obiettivo di sentirsi appagati nel procedere lungo il viaggio e nell'affrontare le difficoltà.
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Il talento delle attrici
Ne esce ridimensionato persino il lirismo delle immagini, a causa di uno stile di regia troppo digitale che, se risulta perfettamente adatto nelle sequenze più dolorose, non mantiene la stessa forza in quelle ambientate nel presente. È chiara l'intenzione di raggiungere un compromesso di cinema verité, molto intuitivo e quasi documentaristico, ma l'apparato visivo ne risulta sacrificato, anche a causa di un montaggio che a tratti anticipa certe svolte di scrittura o appare semplicemente confuso (un esempio durante la scena di una festa a metà film). Non aiuta la sceneggiatura, che oltre a non centrare i tempi giusti per le rivelazioni, mette in difficoltà i personaggi facendo loro pronunciare ad alta voce dialoghi molto complessi e irrealistici. Permane un senso di confusione tra ciò che si ricerca a livello estetico, una realtà senza filtri e all'occorrenza fiabesca, e i dialoghi artificiosi, letterari, ben lontani dal mondo messo in scena. Ed è qui che il talento delle due attrici protagoniste si dimostra l'arma vincente per l'intero film. L'alchimia tra Claudia Marsicano e Beatrice Grannò funziona a dovere regalando i momenti migliori del film (tra cui un ottimo confronto). In particolare, le due giovani attrici sanno come valorizzare i loro personaggi soprattutto grazie al linguaggio del corpo, alla loro fisicità e agli sguardi e le espressioni facciali, anche impercettibili. Qualcosa che nemmeno il miglior dialogo possibile può racchiudere.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Mi chiedo quando ti mancherò vogliamo premiare la recitazione delle due attrici protagoniste. Claudia Marsicano e Beatrice Grannò reggono il film sulle loro spalle grazie al loro talento, nonostante la sceneggiatura sembri volerle mettere parecchio in difficoltà, causando un corto circuito tra letterarietà artificiosa e la ricerca di un cinema del reale che la regia cerca di raggiungere. Nonostante un ritmo imperfetto e una narrazione non raccontata perfettamente, il film nelle sequenze ambientate nel passato della protagonista colpisce duramente. In quei momenti si percepisce l’urgenza drammaturgica e il legame emotivo che fatica a mantenere.
Perché ci piace
- Le sequenze ambientate nel passato della protagonista sono ben riuscite e si percepisce un’urgenza drammaturgica.
- Claudia Marsicano e Beatrice Grannò dimostrano un talento attraverso la recitazione che regge il film.
Cosa non va
- La regia digitale non si sposa perfettamente con il lirismo che ricerca.
- La sceneggiatura, tra problemi di ritmo e dialoghi artificiosi, penalizza l’empatia e il legame che vuole costruire con lo spettatore.