Netflix aggiunge un altro docu-film al suo già nutrito catalogo di contenuti true crime: il nuovo appuntamento da non perdere si intitola Memorie di un omicida: i nastri di Nilsen ed esplora la vera storia del cosiddetto killer gentile che, tra il 1978 e il 1983, uccise circa 15 o 16 giovani uomini nella zona nord di Londra. Si tratta del primo lavoro da regista per il montatore di documentari britannico Michael Harte, già autore di Three Identical Strangers di Tim Wardle e di Giù le mani dai gatti: caccia a un killer online, la miniserie Netflix dedicata a uno dei casi più efferati di cronaca nera del Canada. Il docu-film, della durata di soli 84 minuti, si distingue però dalla maggior parte dei contenuti true crime della piattaforma, in quanto Dennis Nilsen racconta in prima persona la propria storia e gli atroci delitti da lui commessi, attraverso una serie di audiocassette con intento autobiografico registrate durante il suo periodo di detenzione, terminato nel 2018 con la morte dell'uomo. Come vedremo nella nostra recensione di Memorie di un omicida: i nastri di Nilsen, oltre a fornire un'interessante testimonianza di prima mano, il documentario ha anche il merito di esplorare il clima culturale della Londra dei prima anni '80, indagando il ruolo che, suo malgrado, la società ebbe nell'agevolare la condotta dell'assassino di Muswell Hill.
Trovato prima il killer, poi le vittime
Con un'introduzione tratta dalle stesse registrazioni di Dennis Nilsen, Memorie di un omicida: i nastri di Nilsen ci presenta l'uomo del nastro, uno scozzese che ha condotto un'esistenza apparentemente monotona come impiegato di un ufficio di collocamento fino alla rivelazione dei suoi atroci crimini. È il 1983 quando la polizia riceve una chiamata da Cranley Gardens, a nord di Londra, perché in un tombino della via sono stati rinvenuti presunti resti umani da un idraulico contattato a causa di alcuni tubi di scarico intasati. Grazie alle indicazioni degli inquilini dello stabile, che segnalano comportamenti decisamente sospetti, la polizia risale all'uomo che abita all'ultimo piano, Dennis Nilsen, all'interno del cui appartamento vengono trovati due enormi e maleodoranti sacchi neri contenenti resti di cadaveri. Mentre viene scortato in auto presso la centrale di polizia, però, Nilsen fa al detective una scioccante rivelazione: sono almeno 15 o 16 le persone da lui uccise e i cui corpi smembrati sono stati nascosti all'interno dei suoi due domicili londinesi. Inizia, così, il raccapricciante racconto di un uomo che attirava giovani uomini conosciuti nei bar per poi strangolarli e liberarsi dei loro cadaveri nei modi più atroci. Il documentario di Michael Harte ripercorre la vita di Nielsen, dall'infanzia al suo arresto nel 1983, attraverso i nastri da lui stesso registrato e le testimonianze dei poliziotti coinvolti nel caso, di alcuni parenti delle vittime e di un paio di uomini sfuggiti alle sevizie del serial killer.
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250 ore di registrazioni
Proprio come accade il Conversazioni con un killer: The Ted Bundy Tapes, i nastri di Dennis Nilsen rappresentano l'elemento chiave sul quale ruota l'intero documentario. Memorie di un omicida: i nastri di Nilsen, infatti, sfrutta oltre 250 ore di registrazioni assolutamente inedite lasciate dallo stesso serial killer nella sua cella dopo la morte. È la voce di Nilsen a guidare la narrazione, svelando, man mano, la verità su come e perché abbia ucciso, il suo arresto, il processo iniziato nel 1984 e i pensieri durante la detenzione. Anche se l'asse portante del docu-film è l'enorme quantità di cassette in cui l'assassino di Muswell Hill parla in prima persona, non è la sola cosa a narrare la sua storia: sono presenti anche notizie di sua madre, intervistata dopo l'arresto di Nilsen. Purtroppo però, il racconto dell'infanzia del serial killer e quindi delle possibili "motivazioni" dietro i suoi crimini, si basa su filmati d'archivio di cinegiornali di sua madre e ricostruzioni quasi oniriche che poco hanno a che fare con la realtà dei fatti, inserite semplicemente per riempire parti in cui non esistono filmati reali.
Il ruolo del contesto sociale
Memorie di un omicida: i nastri di Nilsen ha il merito di indagare e mettere in discussione il ruolo della società inglese dell'epoca nella terribile storia di Dennis Nilsen. Il documentario, infatti, è ambientato nella Gran Bretagna dei primi anni '80, tendenzialmente omofoba e colpita da una feroce disoccupazione di massa, in cui giovani uomini in cerca di fortuna arrivavano a Londra nel tentativo di sfuggire alla miseria, per poi ritrovarsi presto indigenti e, di conseguenza, facili prede. Questi fattori contribuivano alla formazione di un terreno estremamente fertile per le atrocità di Nilsen: come afferma lo stesso Steve McCusker, l'ispettore investigativo che ha arrestato e indagato su Nilsen, l'uomo sapeva che, se questi ragazzi fossero scomparsi all'improvviso, sarebbero svaniti nell'etere londinese; nessuno avrebbe cercato dei giovani sfortunati spesso senzatetto o gay. A dimostrazione di ciò il fatto che il serial killer avrebbe tranquillamente potuto continuare a uccidere se solo gli inquilini del suo palazzo non fossero stati disturbati dalle tubature di scarico intasate. Una circostanza che fa apparire ancora più drammatica l'atrocità dei fatti, rivelando un contesto di abbandono e solitudine che, però, certo non giustifica i crimini commessi da Nilsen. Proprio alla luce di queste considerazioni, forse avremmo voluto che il documentario si concentrasse di più sulle vittime e sui sopravvissuti ma, in soli 84 minuti di tempo, è stato scelto di dare maggiormente spazio al racconto in prima persona di Nilsen.
Conclusioni
Come abbiamo visto nella nostra recensione di Memorie di un omicida: i nastri di Nilsen. il docu-film firmato da Michael Harte (Giù le mani dai gatti) racconta la storia degli atroci crimini compiuti da Dennis Nilsen sfruttando il racconto di prima mano dello stesso serial killer, in un viaggio attraverso i retroscena più sordidi dei suoi omicidi. Un elemento che permette di approfondire la psicologia dell'uomo, trascurando inevitabilmente i profili delle vittime, anche a causa della brevità (solo 84 minuti) del documentario. Molto interessante, invece, è l'analisi del contesto dell'epoca e la denuncia del ruolo che la società britannica dei primi anni '80 ha avuto in queste atroci vicende.
Perché ci piace
- La narrazione in prima persona del serial killer.
- L'analisi del contesto sociale dell'epoca.
Cosa non va
- Vengono trascurati i profili delle vittime.