Arriva con un leggero ritardo a causa del traffico. Una manciata di fogli in mano e il giacchetto piegato sottobraccio. "Mi sono portato dei filmati di backstage di tutti i film che ho fatto. Ditemi da dove volete che inizi". Matteo Garrone è stato protagonista di una masterclass al Riviera International Film Festival dove ha toccato svariate tematiche, dal percorso di Io Capitano al lavoro con gli attori, dagli inizi della sua carriera alla crisi delle sale cinematografiche.
Dalla pittura alla macchina da presa

Undici lungometraggi in meno di vent'anni e una carriera dietro la macchina da presa iniziata nel 1996 con il corto Silhouette nella quale ha toccato generi sempre diversi. "Ho iniziato a fare cinema un po' per gioco. Non ho fatto scuole, facevo il pittore. E prima ancora di fare il pittore facevo il tennista", svela il regista. "Ho avuto la fortuna di avere una famiglia che, in qualche modo, mi ha aiutato da un punto di vista artistico. Mio padre era un critico teatrale e sceneggiatore, madre una fotografa. Da loro ho sempre avuto un appoggio, ma anche un grande aiuto. Il compagno di mia madre era un direttore della fotografia e quando avevo 26 anni mi regalò della pellicola che gli era avanzata. L'avevo messa nel frigorifero e ogni volta che lo aprivo la vedevo. Un giorno mi sono detto: 'Provo a raccontare qualcosa'".
"E così ho iniziato a fare il mio primo cortometraggio autoproducendomi", continua Garrone. "L'idea di autoprodurmi sin dall'inizio mi aiutava a sentirmi meno in obbligo verso qualcuno. Se il corto veniva male lo potevo tenere nel cassetto, non avevo nessuna forma di ansia rispetto a qualcuno che investiva soldi su di me. Quando scelgo di raccontare una storia piuttosto che un'altra è perché, oltre a dei personaggi e un tema che ho voglia di esplorare, c'è anche una forte suggestione visiva, delle storie che mi consentono di entrare in dei mondi, di interrogare delle realtà, trasfigurarle. Amo saltare da un genere all'altro e ogni volta cercare di trovare un mio sguardo particolare, qualcosa che mi sorprenda. In fondo ogni artista cerca di bucare l'immaginario dello spettatore, di sorprenderlo, di portarlo in un'altra dimensione indipendentemente da quale sia la forma d'arte che scegli di usare".
Il valore di Io Capitano
Candidato ai Golden Globe, inserito nella cinquina come miglior film internazionale, vincitore di sette David di Donatello - tra cui miglior film - e otto Nastri d'Argento, Io Capitano è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia in concorso dove ha vinto il Leone d'argento alla regia e il premio Marcello Mastroianni per l'interpretazione di Seydou Sarr. Un film che racconta l'emigrazione africana verso l'Europa attraverso la storia di due cugini senegalesi che sognano di lasciare il loro Paese e lasciarsi alle spalle la miseria.
"Ci sono migliaia e migliaia di morti, ma c'è anche chi riesce a farcela. Io capitano è un film che nasce dall'ascolto di storie accadute, dietro ogni fotogramma c'è un vissuto reale", spiega il regista. "Ho fuso due storie: una che è quella di Kouassi Pli Adama Mamadou che copre tutta la parte iniziale del film fino quasi alla Libia, l'altra è quella di Amara Fofana. Un ragazzo che è riuscito a salvare 250 persone e che, nel momento in cui orgoglioso dice 'Sono io il capitano', viene messo in carcere dalla guardia costiera. Ho pensato all'idea di farlo finire in carcere nel film, ma dopo quel finale, con quel primo piano, è difficile mettere altro".

"Nel film si vede in maniera abbastanza evidente che questo è un viaggio che porta alla morte. Ho riflettuto sul finale positivo ma amaro. In Occidente sappiamo che una volta che arrivano iniziano nuovo iter", continua Garrone. "Mi ha aiutato molto un'associazione che si chiama Cinemovel, che porta il cinema nei luoghi dove non è mai arrivato. Mi hanno proposto di portare Io Capitano in Senegal dove ci sono le persone che decidono di partire. Confesso che quando ho girato il film pensavo tantissimo a come poteva essere visto dai ragazzi ma in Occidente nelle scuole perché è una pagina buia nella nostra storia contemporanea. Poteva aiutare tanti ragazzi a osservare da una prospettiva diversa. Ma non avevo pensato all'importanza che questo film poteva avere se visto lì".
L'appropriazione culturale
Nonostante il plauso della critica e i molti riconoscimenti ricevuti, Matteo Garrone ha confidato che è stato difficile far accettare il suo film nei circuiti festivalieri più importanti del mondo. "È stato rifiutato da tutti i festival più importanti, ad eccezione di Venezia", confida il regista. "E non ero un esordiente. Toronto, Cannes, Telluride, New York, Londra. Tutti festival dove ero abituato ad andare. Probabilmente è stato dovuto al tema dell'appropriazione culturale. Io da bianco non posso fare un film che parla di Africa. Un film sull'Africa lo deve fare un regista africano, altrimenti è un'appropriazione culturale. Oppure tu se non sei gay non puoi fare un film sui gay. È una sciocchezza".
"È vero che prima di trovare il coraggio per fare Io Capitano ci ho messo 8 anni. Ero andato in questo centro d'accoglienza che gestisce un mio amico in Sicilia e parlando con lui avevo scoperto la storia di Fofana. Mi era rimasta impressa, mi faceva pensare ai grandi romanzi d'avventura dell'Ottocento", racconta il regista parlando del lungo percorso che ha portato alla decisione di realizzare il film. "Però mi sono detto: 'Sono un borghese privilegiato. Perché mettermi anche io a speculare sul povero migrante dalla mia condizione di benestante'. Ho aspettato che lo facesse un africano. Mi ero posto questo problema con la mia coscienza. Solo che dopo tanti anni che passavano è stato come il film mi fosse venuto a chiamare. Tra 50 anni nessuno di domanderà se il regista era bianco o nero, ma rimarrà il film come documento di una pagina buia della nostra storia contemporanea. Non sarebbe mai potuto nascere in America perché è un tema che non ha un appeal commerciale.
Sale cinematografiche, arene estive e il valore dei film basato sugli incassi
Quello che stiamo vivendo è un momento molto complesso per l'industria cinematografia, tra produzioni ferme e incassi bassi. Un quadro generale allarmante al quale in molti, come quanto accaduto durante i David di Donatello, hanno dimostrato di non voler più sottostare fingendo che tutto vada bene. "Sappiamo quanto è importante il tax credit. Da produttore ovviamente seguo anche queste questioni più tecniche, ma in maniera un po' passiva. Sono meno impegnato rispetto a tanti miei colleghi. Però ho delle mie idee rispetto ad altre cose, come rispetto al fatto che sia assurdo non venga insegnato il cinema nelle scuole", riflette il regista. "Mio figlio ha 16 anni, fa il liceo artistico. Gli faccio fare ripetizioni di matematica e fisica. Nel liceo artistico fa fisica e non c'è cinema. Per me il cinema dovrebbe essere insegnato in tutte le scuole d'Italia. È una forma d'arte che ne racchiude tante altre".
"Ho una mia idea anche rispetto alle sale", prosegue Garrone. "Per rilanciarle e invogliare gli spettatori sempre di più ad andare non bisogna farle piccole - come è stato fatto - perché ti scavi la fossa. Ti avvicini ai televisori che sono sempre più grandi. Devi ritrovare quello stupore, quella ritualità in cui tu sei piccolo e lo schermo è grande. Quanti cinema meravigliosi sono stati distrutti facendo multisale? Oggi si parla del fatto che bisogna salvare questi cinema, ma poi li hanno massacrati e nessuno ha detto nulla. Si dovrebbe fare come per gli alberghi: sale 5 stelle, sale 4 stelle, sale 3 stelle. Sai che se vai in un determinato posto avrai a disposizione determinati requisiti. Se vuoi andare a vedere un film in una saletta piccola fai un biglietto ridotto. Ma io da spettatore non posso entrare pensando di vedere un film in una grande sala e mi ritrovo nel salotto di casa mia pagando un biglietto intero: quella è una truffa. E come la fanno a me, la fanno a tanti spettatori che si disinnamorano dell'andare al cinema".
"E poi le arene sono meravigliose. Perché bisogna fare l'iniziativa dei biglietti a 3 euro per il cinema italiano. Non serve a un cazzo. Perché l'estate gente vuole stare all'aria aperta. Spendessero i soldi per incentivare le arene con il pubblico che deve essere Cinetel. Io che sono produttore mi ritrovo i miei film che l'estate praticamente quasi non hanno nessun cambiamento. Oggi il valore di un film è calcolato in base a quanti spettatori lo vanno a vedere in sala. Ma è un modo vecchio di vedere le cose. Sappiamo che oggi i film hanno mille modi per essere visti. Bisognerebbe avere un percorso per poter vedere alla fine di tutto quanti spettatori si sono raggiunti. Il ministero dovrebbe aiutare sempre di più a fare delle arene belle dove la gente va all'aria aperta. Non le iniziative con l'aria condizionata, mezze americane".