Andrà in onda lunedì 9 marzo, in prima serata su RaiUno, Sui tuoi passi, tv-movie co-prodotto da Rai Fiction e da Iterfilm, ma la sua collocazione ha fatto storcere il naso al protagonista Massimo Ghini. L'attore romano ha dichiarato di aver espresso il proprio disappunto a Mamma Rai per il giorno scelto per la messa in onda dell'odissea del suo "padre coraggio", un uomo straziato dal dolore per la morte del figlio che parte dall'Italia, alla volta della Germania, per fare chiarezza su un evento così drammatico che ha sconvolto la sua vita e quella della sua famiglia. Stando attento a non fare mai il nome del programma concorrente che probabilmente gli ruberà una buona fetta di pubblico, il reality show Grande Fratello di Canale 5, Ghini si è lamentato di come la qualità di prodotti come quello di cui è protagonista non venga mai sottolineata da una stampa che si limita a ragionare solo in termini di ascolti. A dirigere Sui tuoi passi è Gianfranco Albano che porta sul piccolo schermo una vicenda ispirata a un fatto realmente accaduto: nel quartiere turco di Berlino viene assassinato, in circostanze misteriose, un giovane della provincia di Milano. Messo al corrente della tragedia, suo padre Salvatore, un calabrese emigrato nel Nord Italia, non riesce a darsi pace e parte per la capitale tedesca, per svolgere un'indagine parallela a quella della polizia tedesca. Per conoscere la verità su quanto è accaduto, dovrà scontrarsi con i propri pregiudizi e con la realtà chiusa della comunità turca che sembra conoscere le risposte alle sue mille domande. Abbiamo parlato del film col regista Gianfranco Albano e con l'attore Massimo Ghini.
Gianfranco Albano, da dove nasce la voglia di dirigere una storia come quella raccontata in Sui tuoi passi?
Gianfranco Albano: Ho sempre adorato tutto ciò che riguarda il diverso, colui che fa paura, il povero, cioè tutte quelle persone emarginate che ci circondano e che spesso stimolano in noi atteggiamenti, mi si passi il termine, reazionari. Questo è un film composto come una matrioska, ci sono diversi livelli di lettura. E' in prima battuta un poliziesco che stimola la curiosità e quindi chiede la partecipazione di chi lo guarda. Al suo interno, inoltre, c'è un rovesciamento dei luoghi comuni e dei pregiudizi: Salvatore, il padre protagonista, è un uomo maschilista, autoritario, un 'fascistello' che non ascolta nessuno, ma proprio la sua ostinazione a proseguire per la sua strada, lo porterà lontano nella storia. C'è poi l'incontro con l'altro, col diverso, che in questo caso è un turco. Il film è soprattutto un viaggio, alla fine del quale Salvatore sarà una persona completamente diversa da quella che era all'inizio della storia. Il film rappresenta la riconciliazione del protagonista con sé stesso, con i propri sensi di colpa, col figlio, con la moglie, con i turchi. Egli trova un equilibrio che passa per una dimensione etica.
Crede di aver raccontato nel migliore dei modi, nel suo film, la comunità turca in Germania?
Gianfranco Albano: Se si riferisce alla chiusura che la comunità mette in atto verso il protagonista sì, quello della difesa è un atteggiamento tipico di chi avverte l'estraneo come pericoloso. D'altra parte non si deve fare di tutta l'erba un fascio: se un turco uccide non è che tutti i turchi uccidono.
Com'è composta la comunità turca in Germania?
Gianfranco Albano: A Berlino ci sono circa 160.000 turchi, la loro è una comunità molto grande. Quella tra tedeschi e turchi è una fratellanza che risale a più di cento anni fa, ma benché ci siano leggi e si sia giunti a una certa integrazione, i turchi in Germania vengono sempre visti con sospetto. Quarant'anni fa lavoravo per i telegiornali e mi è capitato spesso di fare servizi sui siciliani, che venivano trattati proprio come oggi trattiamo i rumeni. Nel profondo, è rimasta comunque un'idea negativa dei siciliani. Lo stesso vale in Germania per i turchi. Nonostante l'integrazione, c'è sempre una certa diffidenza nei loro confronti. A Berlino ci sono due quartieri turchi. Uno è diventato una sorta di Trastevere che accoglie di sera tutti i berlinesi, l'altro faceva parte di Berlino Est ed è quello più povero, meno folkloristico. A parte questi due quartieri, quando siamo stati a Berlino ci siamo accorti che c'erano turchi dappertutto. Nella loro comunità, gli anziani sono certamente quelli più integralisti, mentre i giovani gradiscono la cultura occidentale che è molto più liberale.Non crede che il finale del film sia troppo buonista?
Gianfranco Albano: E' un finale che mette d'accordo tutti e che ci dice che la verità è più ambigua e meno definita di quanto possa sembrare a prima vista, e che quindi bisogna essere più cauti nell'affrontare certe situazioni. Forse si può considerare un lieto fine perché c'è una nascita, ma dietro c'è una storia di grande dolore. Il film è un viaggio, un processo di auto-coscienza, di auto-analisi involontario, e il lieto fine sta soprattutto nella riconciliazione del protagonista con sé stesso e con gli altri. Se c'è una cosa che rifuggo è il sentimentalismo, ma dai sentimenti non si può prescindere perché sono fondamentali in una storia.
Massimo Ghini, com'è riuscito a calarsi in un personaggio così pieno di pregiudizi com'è il protagonista del film?
Massimo Ghini: Ognuno di noi attori deve compiere dei percorsi per interpretare un personaggio. Quando ho letto la sceneggiatura, mi sono reso conto che mi trovavo a che fare con una persona il cui modo di pensare era frutto del pensiero leghista. La composizione geografica di buona parte del Nord, che fa da base al pensiero leghista, è di origine meridionale. Molti di coloro che hanno costruito qualcosa al Nord sono figli dell'emigrazione o sono essi stessi emigrati dal Sud. Arrivati nel settentrione hanno vissuto una trasformazione di grande successo e quindi hanno sposato un certo modo di pensare. La realtà che il mio personaggio ha costruito al Nord lo mette in una posizione di grande orgoglio, stimolando una rivalsa che giustifica certi comportamenti. Il mio personaggio è una sorta di anti-eroe vincente e per me il riferimento a certe figure e a una certa realtà mi ha aiutato a prepararlo meglio.Cosa ci dice invece del lato più umano del personaggio?
Massimo Ghini: Mi sono immedesimato in questo padre e nel suo amore verso il figlio, e non è stato certamente facile. Volevo trovare un equilibrio nella drammaticità del personaggio per non cadere in quella ricerca dell'emozione che è figlia di una certa televisione. La sofferenza del personaggio deve essere vissuta dal pubblico, gli esplode dentro ma nello stesso tempo quest'uomo ha una grande forza che lo porta al cambiamento in questo percorso di ricerca della verità sulla morte del figlio.
Crede che il film abbia raccontato in modo corretto la realtà della comunità turca in Germania?
Massimo Ghini: La comunità turca è piena di contraddizioni, e noi abbiamo voluto raccontarle allontanandoci da un certo buonismo italiano, che interviene puntualmente quando si trattano questioni così delicate. Alla fine però, quel che conta è l'incontro tra questi due padri, uno italiano, l'altro turco, che si trovano ad affrontare lo stesso tipo di difficoltà, reagendo in due modi diversi.
Perché sceglie di prendere parte a prodotti per la televisione come questo e come la serie Raccontami?
Massimo Ghini: La fiction, la lunga serialità e i tv movie rappresentano una bella palestra per noi attori, che spesso ci troviamo senza lavoro perché le parti al cinema sono poche. Comunque, tengo a far sapere il mio disappunto per la collocazione scelta. Il lunedì è sicuramente un giorno che ci penalizza. E' come se mi avessero invitato in discoteca a leggere Neruda. Bisognerebbe uscire fuori dalla logica dei numeri, far sì che la stampa non si preoccupi solo degli ascolti, perché la qualità va difesa.