Le sale fumose e scalcinate dove a inizio degli anni 2000 picchiava l'hardcore, sullo sfondo un manifesto firmato Zerocalcare, le note del punk rock dei Kina con lo storico brano "Questi anni" e una scombinata band di provincia, i Wait for Nothing. La sorpresa di Venezia 79 arriva dalla Settimana della Critica (qui potete leggere la recensione di Margini in sala dall'8 settembre), producono i Manetti Bros. con Alessandro Amato e Luigi Chimienti e distribuisce Fandango. Diretto da Niccolò Falsetti partendo da una sceneggiatura scritta insieme a Francesco Turbanti (anche interprete) e Tommaso Renzoni, è un film che per suggestioni e atmosfere ricorderà gli slanci di Ovosodo, un esordio ribelle e genuino destinato a diventare cult. In poco più di un'ora scatta la fotografia di un gruppo di giovani sognatori nell'assopita provincia maremmana e immortala la fine di un'epoca tra rabbia, fiumi di birra e un pogo scalmanato.
Il punk, la vita di provincia e la sete di riscatto
Marginisi muove nel solco della tradizione della commedia italiana più crepuscolare e decadente, con un gruppo di personaggi scapigliati e inconcludenti a cui il pubblico non potrà non affezionarsi, l'ultimo avamposto di ribellione prima di scoprire che il motto "volere è potere" con cui era stata cresciuta un'intera generazione, in fondo era un gigantesco fake, l'ultima grande illusione. Niccolò Falsetti racconta bene lo spirito di quegli anni, la tranquillità disturbante della vita di provincia sopportabile solo con la consapevolezza che "che prima o poi, da quel posto, ce ne saremmo andati", il cortocircuito tra le speranze coltivate nelle maleodoranti sale prove e il mondo fuori. E Grosseto nel 2008 non faceva eccezione: qui prende vita la rocambolesca avventura di Edoardo, Iacopo e Michele, membri di un gruppo di street punk, i Wait for Nothing, che dai palchi delle feste dell'Unità e delle sagre di paese continua a urlare "Il punk è moda! Non per noi. Non posso permettere che giornali e tv mi dicano che cos'è il punk! È molto più di borchie, anfibi e creste colorate". Ognuno si porta dietro il proprio mondo irrisolto: Iacopo viene dalla musica classica, suona il violoncello, ma quando può si scatena al basso con il resto della band, Edoardo suona la chitarra, vive a casa con la madre e il compagno di lei, lavora in una balera anni
'80 ma lo detesta, Michele, batterista, ha una figlia e una moglie che con il lavoro di cassiera si sobbarca le spese di casa e le velleità artistiche del marito, che di crescere e trovare un'occupazione vera non ne vuole proprio sapere. Tre giovani ribelli che vivono ai margini di una cittadina distante "due ore da tutto", una sonnolenta terra di mezzo dove l'occasione del riscatto arriva quando gli viene proposto di aprire il concerto bolognese dei Defense, famosa band punk hardcore americana. Peccato però che la data venga annullata, i tre così decidono di ospitare i Defense a Grosseto, un piano che si rivelerà molto più complicato del previsto scontrandosi con le beghe burocratiche, l'ottusità di assessori e funzionari comunali, l'assenza di una sala per organizzare il concerto e di un impianto adatto. I limiti della vita di provincia danno origine a un cortocircuito, una collisione come la definisce lo stesso regista, che diventa lo spunto narrativo dell'intera vicenda, oltre che l'innesco di una comicità amara.
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Ritratto di un'epoca
Margini è un film che funziona sotto ogni punto di vista, è reale nel suggerire la fine di un'era tra vecchi lettori Mp3 e musicassette da ascoltare a tutto volume nell'autoradio, ed è altrettanto vero nel tratteggiare gli ambienti: sale comunali con teste di cinghiale che campeggiano sulle pareti accanto ai calendari, centri anziani, vecchie balere rimaste ferme agli anni '80, fatiscenti sale prove. La scrittura è lineare e solida, i dialoghi credibili senza cedere né alla volgarità diffusa né al tentativo innaturale di sacrificare cadenze e sfumature in nome di una dizione anonima (tutto il film è recitato in toscano).
Il merito di tanta freschezza è anche di un cast di interpreti (Francesco Turbanti, Emanuele Linfatti, Matteo Creatini, Silvia D'Amico, Valentina Carnelutti, Nicola Rignanese) capaci di dare corpo a personaggi che avrebbero rischiato diversamente di rimanere intrappolati sulla carta: sono sporchi, arrabbiati, sgraziati e sconclusionati, ma in questo risiede tutta la loro poesia. Tra Ovosodoe La guerra degli Antò finalmente un cinema liberatorio, genuino, anarchico che ci restituisce il sapore di un'epoca a cavallo tra la fine dell'analogico e l'inizio del post moderno. Un'istantanea per ricordarci quanto eravamo incazzati e convinti di poter cambiare il mondo, prima di diventare la generazione fregata dai padri.
Conclusioni
La recensione di Margini si conclude ribadendo la genuinità di un esordio a metà tra Ovosodo e La guerra degli Antò. Niccolò Falsetti recupera la dimensione di un cinema ribelle, anarchico e fresco: i toni sono quelli della commedia, sullo sfondo la sottocultura punk e la tranquillità disturbante della vita di provincia all’inizio degli anni 2000. I personaggi restano reali e umani dall’inizio alla fine. Il ritratto sincero di una generazione tradita dai padri.
Perché ci piace
- Una commedia scanzonata, amara e crepuscolare sull’ultimo atto di ribellione di una generazione.
- La sottocultura punk che accompagna l’intero racconto.
- Un cast di interpreti capaci di rendere reale ciascuno dei personaggi, ognuno con le proprie sfumature.
Cosa non va
- Qualche problema al sonoro che non sempre rende comprensibili i dialoghi.