La presenza di un maestro del cinema italiano come Marco Bellocchio a un evento in crescita costante come il FIPILI Horror Festival è spia di una nuova attenzione alle commistioni tra genere e autorialità. Tanto più che a Livorno Bellocchio ha riproposto il suo Sangue del mio sangue, opera minore nata da un corto realizzato dagli allievi della scuola di cinema che ogni estate Bellocchio tiene nella sua Bobbio su cui si innestano riflessioni autobiografiche e suggestioni storiche. In più, ad accompagnare il regista vi è il figlio Pier Giorgio Bellocchio, che il genere lo visita spesso e volentieri sia in veste di attore che di produttore (l'ultima fatica, in tal senso, è la trilogia di Diabolik dei Manetti Bros).
In Sangue del mio sangue si intrecciano temi come la religione, il peccato, il doppio, il tutto declinato in chiave psicanalitica. Pur essendosi sempre definito ateo, Bellocchio ha scelto di onorare la storia di Bobbio spiegando che "San Colombano, protettore di Bobbio, era un grande monaco irlandese che nel Medioevo fondò in loco un monastero. Oggi è rimasta la chiesa al cui interno si svolgono le proiezioni del festival che noi portiamo avanti da 25 anni". "Il finale medioevale di Sangue del mio sangue è uno dei corti prodotti dal nostro corso di formazione ed è l'anello di congiunzione tra le attività che facciamo l'estate a Bobbio per passione e il cinema di Marco Bellocchio" aggiunge Pier Giorgio.
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Camminare con le proprie gambe
Crescere all'ombra di una presenza così ingombrante come quella di Marco Bellocchio ha spinto il figlio a ritagliarsi uno spazio autonomo nella settima arte senza rinunciare a riconoscere l'autorità paterna. "Dopo aver prodotto due film di Marco, 'Il principe di Homburg' e 'La balia', mi sono reso conto che il rapporto tra produttore e regista, già conflittuale di base, ci portava allo scontro. Così ho deciso di anteporre il rapporto umano e familiare. Preferisco essere diretto da mio padre e ristabilire le dinamiche di autorità corrette". Parlando del suo lavoro di produttore, Pier Giorgio Bellocchio aggiunge: "Il lavoro con mio padre è uno spicchio, produco tanto altro. Sono un essere inquieto e totalmente dopato dal fare cinema, a 19 anni ho cominciato a produrre e tra l'altro ho prodotto l'opera prima dei Manetti Bros., 'Torino Boys'".
Pur essendo assenti perché impegnati nel montaggio di Diabolik 3, i Manetti Bros. sono i presidenti di giuria del FIPILI Horror Festival, che seguono con partecipazione fin dalla nascita. Inevitabile che il discorso cada proprio su Diabolik, visto che il secondo capitolo arriverà nei cinema il 17 novembre. "La collaborazione coi Manetti parte da lontano, siamo amici da trent'anni" spiega Pier Giorgio Bellocchio. "'Diabolik' è una grande avventura nella quale cui siamo calati, è il primo grande cinecomic italiano. Il percorso è a metà. Il 17 novembre capiremo se troverà una corrispondenza col pubblico, ma sono orgoglioso di aver partecipato a qualcosa che resterà nella storia del cinema italiano".
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Cinema di immagini e simboli, non di parola
E senza dubbio resterà nel cinema italiano il cinema di Marco Bellocchio con la sua potenza espressiva, l'intensa drammaticità e il coraggio nelle scelte artistiche. "I miei film comunicato attraverso i silenzi e le immagini più che le parole. Cerco di provocare emozioni attraverso lo sguardo e questo mette alla prova i miei attori" spiega Bellocchio. Il figlio conferma: "Di solito si hanno poche battute, la sfida è recitare con lo sguardo. La recitazione è un mestiere che ha una parte di sconosciuto: non ci arriva in maniera razionale, ma in modo istintivo, trasportato da ciò che accade intorno. Il dramma e la tragedia della famiglia è qualcosa che tutti abbiamo sentito nel corso delle nostre vite, ma ce ne siamo liberati attraverso l'arte ricostruendo la storia".
Nonostante la drammaticità dei temi toccati in un'opera come Sangue del mio sangue, per lui profondamente personali, Marco Bellocchio garantisce che sul set il clima era leggero. È ancora una volta il figlio a rivelare una delle tante qualità paterne: "Marco cerca il rapporto coi giovani, non fa mai un film uguale all'altro e si circonda di collaboratori molto giovani, soprattutto negli ultimi 15 anni. La scelta di 'Nothing Else Matters' alla fine del film ne è una spia. Non sapeva neanche che esistessero i Metallica, ma h seguito il consiglio di un giovane. lo ha preso da un giovane".