Dopo il passaggio alla Festa del Cinema di Roma 2020, arriva in sala il 3 giugno Maledetta primavera, film che prende il nome dalla canzone di Loretta Goggi e si ispira all'adolescenza della regista, Elisa Amoruso, che ha inserito nella storia diversi elementi autobiografici.
Siamo nella Roma del 1989, Nina (Emma Fasano) è l'alter ego della regista: ha 11 anni, un fratello più piccolo, Lorenzo (Federico Ielapi, Pinocchio nel film di Matteo Garrone), e dei genitori che sono agli antipodi. La mamma, Laura (Micaela Ramazzotti), è più seria, si preoccupa di far quadrare i conti, mentre il padre, Enzo (Giampaolo Morelli), sogna in grande, sperpera soldi, è sempre fuori in cerca di avventure. Nonostante non sia per nulla affidabile, Nina preferisce il padre e il suo senso di libertà.
Tutto si complica quando la famiglia è costretta a trasferirsi in periferia a causa di problemi economici e i genitori cominciano a non sopportarsi più. In questo momento di crisi Nina conosce Sirley (Manon Bresch): ha 13 anni, viene dalla Guyana francese e vuole interpretare la Madonna nella processione del quartiere. Le due diventano amiche, ma Nina comincia a provare un sentimento nuovo, che la travolge.
La video intervista a Elisa Amoruso e Giampaolo Morelli
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Maledetta primavera: padri e figli
Questi genitori mi hanno ricordato quelli di Woody Allen, che il regista racconta nel libro A proposito di niente. Madre seria e pratica, padre totalmente inaffidabile ma più divertente. È possibile che, sul lungo termine, dei pessimi genitori possano far nascere dei talenti nei figli?
Elisa Amoruso: Ovviamente essendo figlia di un padre così, non posso dire altrimenti. Anche io, questa estate, leggendo la biografia di Woody Allen, ho pensato: vedi, anche lui! Suo padre poi ha perso tutto, giocava. Diciamo che sono delle persone che sono poco a contatto con la materia, però allo stesso tempo hanno una creatività e un temperamento che ti trascinano. Mio padre è tuttora così ed è l'unico motivo per cui mia madre, nonostante 40 anni di litigate, ci sta ancora insieme. Sono dei personaggi strani, che però secondo me servono nell'infanzia, nella formazione di un bambino, soprattutto per la parte più libera, la parte dell'io più creativo, più profondo, quello che non vuole mettersi dei freni. Per mio padre non c'era nessun freno, non esistevano le regole. Con lui potevo saltare sui letti, potevamo fare qualsiasi cosa. Quando c'era mia madre era esattamente l'opposto. Naturalmente avere le due facce della medaglia ti aiuta ad avere un equilibrio, o se non altro a cercarlo. Però la componente di follia da parte di un genitore per un bambino può essere in realtà una risorsa inattesa.
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Giampaolo Morelli: La componente di follia come anche, forse, la inevitabile dose di sofferenza che può portare una famiglia disfunzionale, così come, chi più chi meno, la abbiamo avuta tutti. Non esiste la famiglia perfetta. La sofferenza inevitabilmente ti accende delle luci e, in alcuni casi, ti dà non dico una marcia in più, ma forse una strada diversa da intraprendere per contrastare quello che c'è stato. Comunque dalla sofferenza nascono anche dei talenti.
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Il film è ambientato nel 1989, ma i desideri e le insicurezze degli adolescenti sono sempre gli stessi. Se gli adolescenti si somigliano in ogni epoca, cosa è cambiato davvero rispetto ad allora?
Elisa Amoruso: Sicuramente i tempi sono molto cambiati: il primo enorme cambiamento per gli adolescenti di oggi è il rapporto con la tecnologia, che non è solo il rapporto con le macchine, ma anche con questi specchi virtuali, che rimandano l'immagine della loro identità su tanti schermi, su tanti social, su tante piattaforme. In qualche modo gli consentono di avere più vite, si possono sentire come dei nuovi supereroi, perché effettivamente hanno tante maschere dietro cui possono nascondersi. Però anche prima della tecnologia ci si poteva nascondere dietro delle maschere: anche in un'era analogica come quella del film, avevamo una personalità di cui cercavamo i confini. Il tema dell'identità resta sempre lo stesso.
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Da questo punto di vista i romanzi di formazione sono sempre delle storie universali, che parleranno, a livello trasversale, a tutte le generazioni di ragazzi che li leggeranno. Se pensiamo a i Quattrocento colpi di Truffaut è un film in bianco e nero, eppure lo smarrimento di quel ragazzino che scopre il tradimento della madre è qualcosa di unico in cui anche gli adolescenti di oggi potrebbero riconoscersi. Per cui secondo me il film, pur essendo ambientato nel 1989 può parlare ai ragazzi di oggi, perché in fondo quello che racconta è una ragazza che cerca di prendere le misure. All'inizio attraverso il conflitto con i genitori, poi attraverso una nuova amica, che in qualche modo diventa anche il suo punto di riferimento sentimentale, verso la quale prova un sentimento che è più simile all'amore, che non all'amicizia. Questo travalicamento di confini secondo me i ragazzi di oggi lo capiscono molto bene, perché per fortuna i confini stanno cominciando ad ammorbidirsi, i limiti cominciano a essere un pochino più valicabili. Quindi la speranza di avere un mondo più aperto, in cui tutte le forme d'amore siano possibili arriva forte agli adolescenti di oggi.