E' stato probabilmente tra i film più intensi visti nell'ultima edizione del Festival di Cannes, Polisse. Un'opera, già vincitrice del Premio della Giuria, che mostra la quotidianità di una squadra di poliziotti molto particolare, la CPU (Child Protection Unit): quella che deve occuparsi della protezione dei minori dagli abusi, di ogni genere, a cui purtroppo il mondo adulto continua a sottoporli. Un soggetto che la regista Maïwenn ha trattato con uno sguardo neutro ma non distaccato, che non giudica ed evita ritratti facilmente stigmatizzanti o indulgenti per i poliziotti protagonisti; uno sguardo al contrario ricco di partecipazione umana, tanto più complice con la sfera emotiva dei protagonisti (bambini e adulti) quanto più evita di dare giudizi, e parallelamente rende essenziale, quasi scarnificandola, la regia.
Del film, della sua genesi e dei motivi che l'hanno portata a dirigerlo, ha parlato la stessa regista nella conferenza stampa di presentazione tenutasi stamane, insieme a un Riccardo Scamarcio, unico interprete italiano, che nella pellicola ha un ruolo limitato temporalmente ma significativo narrativamente, quello del marito della fotografa a cui dà il volto la stessa Maïwenn.
Maïwenn, il film è parzialmente ispirato a fatti che hanno realmente coinvolto la polizia francese. In che modo li ha scelti?
Maïwenn: Non mi servivano casi straordinari, che facessero pensare ai poliziotti come a degli eroi, quanto piuttosto casi che piuttosto sembrassero banali, di tutti i giorni. Mi interessava mostrare la quotidianità di queste persone.
Scamarcio, in questo film lei interpreta un piccolo ruolo, fatto per lei inusuale, abituato com'è ai ruoli da protagonista. Come mai ha deciso comunque di accettarlo?
Riccardo Scamarcio: Io avevo visto i primi due film di Maïwenn, la conoscevo e quindi conoscevo il suo lavoro e il suo modo di girare. Ho accettato perché ero molto incuriosito, volevo lavorare con lei, ha un modo molto originale di mettere in scena e dirigere gli attori. Volevo anche recitare in un'altra lingua, penso sia un'esperienza interessante anche se difficile; nei nostri ruoli abbiamo fatto anche delle lunghe improvvisazioni, ovviamente partendo sempre dal testo del copione. Improvvisare in un'altra lingua è difficile, ma può essere anche un'esperienza formativa. Non ha importanza se il ruolo sia grande o piccolo, piuttosto ci sono grandi film e piccoli film: questo credo sia un film davvero importante. Alla fine, mi ha trasmesso un sentimento di grande tenerezza sia per i bambini che per gli adulti: credo che questo sia merito di Maïwenn.
In questo film, Scamarcio ha poche scene a disposizione e deve renderle al meglio con la recitazione. Perché ha scelto proprio lui, che tra l'altro è italiano? Quali qualità cercava nell'attore? Maïwenn: Non mi interessava tanto la nazionalità, ma mi interessava che fosse carismatico. All'inizio, a dire il vero, il personaggio di Riccardo aveva uno spazio molto più grande nella sceneggiatura, rappresentava una parte di un "triangolo" che comprendeva anche il mio personaggio e quello di Joey Starr: la donna che interpreto si trovava a metà strada tra l'agiatezza borghese incarnata dal personaggio di Riccardo, e la povertà del poliziotto. La storia d'amore inizialmente aveva un ruolo importante, ma poi non sono riuscita a portarla avanti: non funzionava, sarebbe stato come inserire una storia a parte, di un altro film. Mi serviva un attore fiero, carismatico, ma anche chiuso nei suoi sentimenti: l'ispirazione principale è stata il personaggio di Yves Montand nel film Margherita della notte. A Parigi, Scamarcio mi è stato segnalato da un direttore di casting, all'inizio ero un po' dubbiosa ma poi mi sono resa conto che l'ostacolo della lingua avrebbe potuto addirittura arricchire il personaggio.
Scamarcio, in questo film lei per la prima volta viene diretto da una donna, e inoltre è la prima volta che gira in Francia. Ha avuto una qualche forma di timore reverenziale per questi due motivi? Tra l'altro, lei è noto per avere un atteggiamento molto partecipativo, sul set, spesso critico. Bonariamente, viene spesso definito un rompipalle. Riccardo Scamarcio: Io in questo film ho fatto esattamente quello che Maïwenn mi ha chiesto, non ho mai discusso nulla. Non credo i registi pensino che io sia un rompipalle, semmai il contrario: in genere, una volta che sono sul set, i problemi cerco di risolverli, non di crearli. Sono un rompipalle invece su tutto ciò che c'è prima e dopo il lavoro sul set, quello sì.
Cosa ha fatto, quando ha scoperto che una grossa parte del suo ruolo era stata tagliata? Riccardo Scamarcio: Beh, mi sono incazzato! E' chiaro che dispiace sempre vedere che è rimasto poco di quello che si è fatto, un po' di delusione c'è stata, però sono comunque contento di essere in un film come questo: lo ritengo molto importante. E' un film profondo e denso, ma anche con dei momenti leggeri, come non ce ne sono tantissimi in giro.Quali sono i progetti futuri di entrambi?
Maïwenn: (ridendo) Ovviamente girerò Polisse 2, con Riccardo nel ruolo principale! Lui sarà un poliziotto e salverà tutti i bambini francesi.
Riccardo Scamarcio: Io continuerò il mio lavoro a teatro con il Romeo e Giulietta, che sto interpretando attualmente: le prossime due date saranno Milano e Roma. Poi inizierò a lavorare al nuovo film di Valeria Golino, nella veste per me insolita di produttore. Le riprese del film inizieranno ad aprile, e il titolo provvisorio è Vi perdono.
Maïwenn, ha avuto il supporto della polizia francese, per la realizzazione del film? Maïwenn: Niente affatto. Non ho potuto lavorare direttamente con i poliziotti, visto che i loro capi non credevano nel film, e così mi hanno messo i bastoni tra le ruote. Non gli piaceva, tra le altre cose, che uno dei personaggi principali fosse Joey Starr. Alla proiezione pubblica, poi, gli stessi poliziotti erano un po' a disagio, perché si sono resi conto che in realtà il film meritava e avevano perso un'occasione: io non volevo fare un film né pro né contro la polizia, ma solo raccontare la quotidianità di queste persone. Nel mio mondo, quello che si può definire della "sinistra al caviale", c'è un atteggiamento spesso negativo nei confronti dei poliziotti: io invece ho pensato che si potesse presentare un loro lato umano, nonostante tra loro ci siano purtroppo anche elementi razzisti e omofobi. Nel mondo della critica di sinistra non è di moda presentare un lato positivo della polizia. Io sono fiera di come sono e di quello che faccio, comunque, ho sempre fatto cose controcorrente e le ho fatte da sola, nonostante mi dicessero che non funzionava così nel mondo dello spettacolo. Se, girando una scena con un poliziotto, mi rendevo conto che quel poliziotto meritava di essere ben rappresentato, lo facevo, così come lo rappresentavo negativamente se mi rendevo conto invece del contrario. Io mi sento libera di esprimermi, non ho mai cercato di compiacere nessuno, neanche quella sinistra di cui comunque faccio parte. A Cannes, mi ha fatto piacere che una rivista di cinema considerata tra quelle più radicali mi abbia messo in copertina insieme a Joey Starr, parlando del film come di un "pugno nello stomaco"; poi, però, il film è stato un successo e loro non mi hanno più citata, come se per rientrare tra i "duri e puri" non si potesse fare successo al botteghino. E' un po' la nostra caratteristica, quella di noi francesi: andare a cercare sempre l'artista poverello e misero, che poi viene abbandonato una volta che fa fortuna e successo, perché si pensa abbia tradito.
Il manifesto promozionale molto bello, riflette bene l'identità del film. Lei ha contribuito a realizzarlo? Maïwenn: Io volevo un manifesto che avesse un'immagine tenera e forte allo stesso tempo, ma che non fosse troppo esplicito. Ne abbiamo parlato a lungo con la produzione, e poi ne ho parlato alla persona che ha realizzato i manifesti per i miei due film precedenti. Dopo una foto, abbiamo così realizzato questa locandina.C'è qualcosa di autobiografico, nel suo film? Maïwenn: A volte non ne abbiamo consapevolezza, ma una parte del nostro inconscio viene alla luce, e ci porta a fare certe scelte. Io credo che qualsiasi artista che produce una sua opera racconta sempre un po' di sé: è la sua identità, e in fondo l'identità non è altro che il nostro passato. Tutto è autobiografia, la differenza sta solo nel saper nascondere la parte autobiografica: forse io non sono molto brava in questo, quindi nelle cose che faccio si percepisce di più quello che ho vissuto, e anche quello che avrei voluto vivere. Nei miei film, per esempio, un aspetto importante è quello della genitorialità, il tema di come si può essere bambini e genitori, e di come si può restare figli per tutto il resto della vita. Nel mio film precedente, che era una commedia sul mondo delle attrici, si percepiva subito la mancanza di amore, che è una caratteristica propria dell'infanzia. Se non sbaglio, François Truffaut diceva che si fa sempre lo stesso film per tutta la vita: questo è il mio tema, quindi, un tema su cui ritengo si possa dire molto. Ci sono due frasi che mi hanno sempre ispirato, su questo argomento: la prima risale a quando avevo 11 anni e avevo già scritto le mie prime cose: un ragazzo mi disse che non ci sono regole nello scrivere, che saper scrivere significa scrivere esattamente come si pensa. La seconda frase la lessi su una rivista femminile, in un reportage: diceva che tutti si possono identificare in storie autobiografiche, perché le storie autobiografiche sono storie intime, e tutti abbiamo qualche storia intima.