Maternità surrogate, grembi in affitto: mai come in questo periodo sono questi gli argomenti a tenere banco sul fronte popolare e giudiziario, complice la loro validità etica e la possibilità per i governi di abrogarli, o addirittura ostacolarli, rendendoli illegali. C'è una bolla mediatica e legale che sta avvolgendo le scelte personali di coppie alla disperata ricerca di una genitorialità che non arriva, spingendoli perfino ad affidarsi a trapianti embrionali in corpi estranei.
Non sorprende, pertanto, che in un'epoca come quella contemporanea dove la televisione si sostituisce sempre più al cinema come nuova finestra sulla nostra realtà, un tema delicato come quello della maternità surrogata sconfini nello spazio del piccolo schermo. Ciononostante come sottolineeremo in questa recensione di Madre de alquiler, disponibile su Netflix, l'interesse intrinseco a tale tematica perde di pregnanza se mescolato con l'universo delle soap opera. E così, ogni più piccola possibilità di poter parlare di un'attualità quanto mai vicina a noi, si sveste di partecipazione mediatica per ridursi a espediente narrativo di intrecci amorosi, agguati e tradimenti famigliari già sfruttati e per questo prevedibili.
Madre de alquiler: la trama
Con l'intento di sfruttare uno dei temi più sentiti in questi tempi, ossia quello della maternità surrogata, Madre de alquiler racconta le vicende a cui è sottoposta Yeni (Shani Lozano), giovane donna costretta ad affittare il suo grembo per generare l'erede di una potente famiglia messicana. La maternità viene portata a termine; il suo compito pare conclusosi, se non fosse per una disabilità che ha colpito il gemellino maschio e che porterà la famiglia ad abbandonarlo, lasciandolo alle cure della stessa Yeni. Ma i misteri dietro tale gravidanza sono tanti, e ci vorranno anni perché questi vengano portati a galla dalla donna. Dietro a Madre de Alquier si nascondono pertanto non solo argomenti importanti come l'utero in affitto, e la maternità surrogata, ma anche temi sensibili alla nostra società, come quello della manipolazione mentale e del classismo. Peccato che non tutto verrà sfruttato a dovere, e molto rimarrà nascosto nell'ombra, proprio come le verità celate a Yeni.
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La serie in 24 episodi è dunque solo un grembo estraneo in cui inserire l'embrione di un'idea innestato di interesse sociale e culturale, ma lasciato sviluppare alimentandolo di assurdità, superficialità, e reiterazione di crismi ed eventi già ampiamente portati precedentemente sullo schermo. Adattandosi a un canovaccio narrativo e registico ben formulato e altamente sperimentato, Madre de Aqluiler si presenta come perfetta forma di intrattenimento per un target spettatoriale di cultore del sotto-genere delle soap opera. La fotografia accesa e priva di ombre, che tutto illumina in maniera perfetta, unitamente a una regia inesistente, e a un montaggio elementare, che si limita a raccordare campi e contro-campi a totali di personaggi costantemente sorpresi, o adirati, non aggiunge alcunché di innovativo a un sistema televisivo già ampiamente collaudato, e per questo reiterato in ogni sua sotto-produzione.
Catene di montaggio in versione soap-opera
Ciò che si limita a compiere la serie ideata da Aída Guajardo è la riproposizione di una catena di montaggio dove azioni, eventi, e performance attoriali, si susseguono in maniera analoga, senza possibilità di modifica, o sorpresa. L'unico elemento che va a estraniarsi all'interno di un processo sempre uguale a se stesso, è il pitch narrativo, ossia la miccia che fa innescare tutta la storia. Ma quella di Madre de alquiler è una fiamma che brucia con estrema facilità, esaurendosi ben presto nella sua potenza visiva. La maternità surrogata, e l'utero in affitto posto come forma di ricatto, non bastano per trarre in salvo una storia che vuole sforzarsi a tutti i costi di risultare complessa e avvincente, finendo per mostrarsi assurda e ridicola.
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Flashback, salti temporali, montaggi paralleli e tagli improvvisi: vige in Madre de alquiler una certa volontà di sopperire a una sceneggiatura piatta, e a delle performance quasi macchinose, con una dinamicità di racconto che nulla può nel coinvolgere spettatori distratti, e alla ricerca di un mero riempitivo al silenzio circostante. Il risultato finale non è altro che un boomerang auto-lesivo, che torna indietro distruggendo ogni singolo sforzo compiuto. Non c'è armonia; non c'è equilibrio in una storia che si trascina a fatica, ripetendo le medesime battute, o le stesse scene, per innumerevoli volte. Quelli qui compiuti sono maldestri tentativi di cullare una serie che urla e si dimena, dolorante per un'alimentazione sbagliata e una poca cura nel farla crescere e formare. Nessuna educazione sentimentale, nessun impegno nel tracciare le fondamenta di una narrazione che, per quanto disinteressata a costruire un'opera profonda e umanamente d'impatto, aveva comunque tra le mani un argomento di partenza socialmente interessante. Incapace di valorizzare la portata empatica e culturale del proprio nucleo narrativo, la soap opera di Netflix ha preferito puntare sul sentiero più facile, perché già tracciato e proposto da altri.
Surrogato di mille produzioni precedenti, e gemello omozigote di altrettante serie a esso uguali, Madre de alquiler è un patchwork seriale di toppe narrative realizzate dalla reiterazione di momenti già proposti. Un parto gemellare senza emozione, o sconvolgimento interiore, di un microuniverso che si lascia ascoltare, ma non osservare, limitandosi al ruolo di colonna sonora in lingua spagnola di una storia dove la componente visiva perde di fondamenta, perché sostenuta da espressioni basite, e sguardi vacui.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Madre de alquiler sottolineando come la soap opera in 24 episodi targata Netflix non offra nulla di innovativo al catalogo proposto dalla piattaforma. L'anello più debole dell'intera produzione è soprattutto l'incapacità da parte degli autori di sfruttare una tematica così delicata e vicina alla nostra contemporaneità come la maternità surrogata, limitandola a mero pretesto narrativo per intrecci amorosi e vendette famigliari.
Perché ci piace
- L'idea di partenza come quella della maternità surrogata.
Cosa non va
- La fotografia "smarmellata".
- L'aderire perfettamente a tutti i codici imposti dalle soap-opera.
- Il non aver sfruttato la potenza di una tematica come quella offerta dall'utero in affitto.
- L'assurdità di certi risvolti.
- Le performance macchinose e stereotipate degli attori.