Ci accingiamo a scrivere questa recensione de L'uomo del labirinto con grande rammarico, perché abbiamo letto con piacere il romanzo di Donato Carrisi da cui è tratto e, sebbene consapevoli delle difficoltà di adattamento, eravamo molto speranzosi per quest'opera seconda dello scrittore pugliese. Purtroppo non possiamo dirci soddisfatti del risultato finale, ma possiamo quantomeno dire di aver apprezzato la volontà e l'ambizione di puntare alto e fare di questo L'uomo del labirinto un film dal respiro internazionale e, magari chissà, anche l'inizio di una nuova saga thriller.
Il film che ha segnato l'esordio alla regia di Carrisi, La ragazza nella nebbia, ha sancito due anni fa un buon risultato al boxoffice e ha permesso a Donato Carrisi di vincere il David di Donatello come miglior regista esordiente: non era certo un capolavoro ma, nel suo essere molto più "semplice" e tradizionale, aveva comunque alcuni evidenti meriti. Lo scrittore, che ha al suo attivo ormai nove romanzi thriller, avrebbe potuto continuare su quella falsariga e magari scegliere un titolo più facile da portare sul grande schermo per la sua seconda regia: è evidente invece come abbia preferito puntare subito in alto, prendendosi dei notevoli rischi, finendo così col realizzare un film che funziona solo a tratti, ma spesso finisce con l'inciampare nella sua stessa ambizione.
Una trama complessa, con ambizioni da grande thriller
Cominciamo, però, dalla storia de L'uomo del labirinto, che segue molto fedelmente quella del libro: tutto comincia con il ritrovamento di Samantha Andretti, una ragazza rapita quindici anni prima mentre andava a scuola. Il suo improvviso ritorno - nuda, ferita, nel mezzo di una palude - cattura la curiosità di tanti, tra cui quella dell'investigatore privato Bruno Genko che, all'epoca del rapimento, era stato ingaggiato dalla famiglia di Samantha: l'uomo, ormai molto malato, vede nel ritrovamento della ragazza un'opportunità di riscatto e per questo comincerà ad indagare sul caso nonostante la polizia non ne voglia sapere di aiutarlo.
Parallelamente seguiamo anche quello che sta accadendo a Samantha adesso: rinchiusa in un ospedale, in stato di shock e ancora sotto l'effetto delle droghe somministratele dal suo rapitore, la ragazza, ormai trentenne, prova a collaborare con il Dottor Green, un profiler esperto che cerca di ricostruire l'accaduto e indagare su quanto successo in questi anni nel "labirinto" in cui la ragazza era stata tenuta prigioniera da un uomo sadico, che ama giocare con le sue vittime. Come se non bastassero le due linee narrative parallele, all'intreccio si aggiunge anche l'inquietante e misteriosa figura di un uomo "con la testa di coniglio", che potrebbe essere il rapitore o forse un male presente da ancora più tempo in questa città senza nome, apparentemente deserta e devastata da un caldo quasi apocalittico.
Come diventa evidente fin dalle prime scene del film, e come d'altronde si intuiva anche solo dalle pagine del romanzo, Donato Carrisi si ispira ai grandi thriller americani dei decenni passati: il riferimento più forte è certamente Seven di David Fincher, soprattutto per le atmosfere morbose e malate che cerca di restituire, ma non è difficile ritrovare citazioni, più o meno volute, anche a Il silenzio degli innocenti o ai film di Dario Argento. Quando si parla poi di grossi conigli sul grande schermo, poi, è impossibile non pensare a Harvey o Donnie Darko. Il tutto condito da un gran numero di colpi di scena che hanno lo scopo di spiazzare continuamente lo spettatore/lettore, e ci riescono, forse anche troppo: non è difficile immaginare che nella parte finale, così come accaduto già col romanzo, non saranno pochi a chiedere al vicino cosa realmente sia accaduto. Il che, ovviamente, può essere un grande pregio per un thriller, a patto però che ci sia una coerenza di base in tutta la pellicola e, soprattutto, a patto che si sia riusciti a tenere alta l'attenzione degli spettatori per tutta la durata.
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Toni Servillo e Dustin Hoffman: cast e respiro internazionale...
L'enorme ambizione di Carrisi, d'altronde, è evidente fin dalla scelta dei due protagonisti: Toni Servillo, uno degli attori italiani più bravi e più amati degli ultimi due decenni, torna a lavorare con lui dopo il successo de La ragazza nella nebbia con un ruolo molto differente, più "sporco" e maledetto; il premio Oscar Dustin Hoffman, dopo troppi anni passati quasi nel dimenticatoio, si ripresenta al pubblico italiano con un ruolo ambiguo, paterno ma anche severo, che sfida lo spettatore e lo costringe ad interrogarsi continuamente sulla sua vera natura. Peccato che i due attori si incontrino solo, molto brevemente, in una scena, perché chiaramente un duetto/duello tra i due avrebbe conferito un fascino ancora maggiore alla pellicola.
Il film, diciamolo fin da subito, è recitato in doppia lingua: in inglese per le scene con Dustin Hoffman e Valentina Bellè, in italiano per tutti gli altri. Ovviamente le scene in inglese sono tutte ridoppiate in italiano (anche se Medusa afferma che in alcune sale sarà possibile godersi la recitazione originale, a noi questa scelta non è stata accordata), purtroppo con un effetto abbastanza straniante e fastidioso nel passaggio, continuo, tra una storyline e l'altra. Lo stesso spiacevole effetto è dato anche dall'evidente volontà di creare un'ambientazione universale e neutra, probabilmente di una non meglio definita cittadina americana, ma lasciando troppi riferimenti al nostro paese e alla nostra lingua. Il risultato finale è un mix che sa tanto di vorrei ma non posso e che finisce con l'inciampare fin troppo spesso in problemi ricorrenti (recitazione degli attori secondari non all'altezza, fotografia a momenti quasi televisiva, scenografie scarne e poco realistiche...) del cinema italiano di medio livello.
... produzione e regia non all'altezza
Tutto questo però sarebbe stato più facilmente digeribile se regia e sceneggiatura fossero state all'altezza delle ambizioni di Donato Carrisi, ma purtroppo non è così. A livello di script è evidente il (buon) lavoro di rimaneggiamento per fare sì che lo spirito e la storia del romanzo, nella sua interezza, siano presenti anche nel film, ma forse Carrisi era talmente preoccupato che tutto funzionasse, che tutto fosse chiaro e che ogni colpo di scena sortisse il suo effetto, da perdersi per strada gli aspetti più importanti: una migliore caratterizzazione dei suoi personaggi e un maggiore approfondimento del tema più importante della sua opera, quello degli abusi e delle conseguenze sulla psiche dei più giovani. Quelli che lui chiama "figli del buio" avrebbero meritato uno spazio ed un'attenzione sicuramente maggiore, invece che essere utilizzati solo per meri scopi narrativi.
A livello di regia, invece, dispiace dire che, se ne La ragazza nella nebbia ci era parsa troppo acerba, qui siamo forse all'opposto: troppa sicurezza, troppa disinvoltura, troppa tranquillità nell'affrontare un genere come il thriller che, nonostante le apparenze, non è affatto facile da gestire con maestria. Non è un caso che i grandi thriller classici, come giustamente ha sottolineato anche lo stesso Carrisi in conferenza stampa, siano quasi del tutto spariti dal cinema mainstream: il problema è che non bastano dei semplici colpi di scena a fare un grande thriller, serve prima di tutto un grande regista.
Conclusioni
Come avrete intuito dalla nostra recensione di L'uomo del labirinto, la seconda opera di Donato Carrisi ci ha deluso. Da un romanzo che ha il grande merito di incuriosire fin dalla primissima pagina era lecito aspettarsi molto di più, ma probabilmente è stata proprio la scelta di puntare molto più in alto rispetto al film precedente che ha penalizzato tutto il progetto, rendendoci anche "complici" nel raffrontare e paragonare questo thriller ad altri classici del genere molto più riusciti. Carrisi, in ogni caso, rimane una personalità importante e rara nel panorama italiano di genere e speriamo che possa riscattarsi al più presto.
Perché ci piace
- Toni Servillo e Dustin Hoffman sono due grandi attori, entrambi molto carismatici, ed è sempre un piacere guardarli.
- L'adattamento su grande schermo riesce a mantenere intatti quasi tutti gli elementi del romanzo, compresi alcuni colpi di scena piuttosto spiazzanti...
Cosa non va
- ... anche se molti spettatori, che non hanno letto il libro, faranno un po' fatica a capire tutta la parte finale.
- Peccato non aver approfondito alcuni aspetti cardine della storia - i "figli del buio", i rapimenti e le conseguenze sulle vittime.
- Regia e produzione non sono purtroppo all'altezza delle ambizioni internazionali di Carrisi.