La storia viene da lontano, per la precisione dai racconti ascoltati da bambino. L'ultimo Paradiso arriva infatti dalle memorie di infanzia del regista Rocco Ricciardulli. Il film, in streaming su Netflix dal 5 febbraio, nasce da un fatto di sangue realmente accaduto e dalle suggestioni di un Sud mitico e ancestrale. A detta dello stesso regista, che lo ha scritto insieme a Riccardo Scamarcio, qui anche produttore e interprete, "l'evento centrale è successo davvero e coinvolge la mia famiglia. Mi era stato raccontato da mia madre e ne avevo fatto una prima stesura che ho presentato a Riccardo, da lì in poi la storia è completamente cambiata: è diventata un altro racconto, un'altra sceneggiatura, la sera la riguardavamo e ci rimettevamo mano". Basta pensare che il finale fu scritto solo dieci giorni prima di girarlo: "Nella versione con cui abbiamo iniziato le riprese era diverso, ma le cose cambiavano di giorno in giorno, era tutto molto elastico. È stato un metodo di lavoro che ha dato suoi frutti", aggiunge Scamarcio.
La lotta di classe, il legame con la terra e l'amore paterno
Le vicende del contadino ribelle Ciccio, che sul finire degli anni '50 lotta contro il caporalato e i soprusi di Cumpà Schettino, e che sogna di fuggire a Parigi insieme al suo amore clandestino, Bianca (Gaia Bermani Amaral), evocano vagamente scenari da Cavalleria Rusticana e mescolano la tragedia antica e la dimensione della rivolta sociale. E il regista ricorda che le dinamiche di cui si parla ne L'ultimo paradiso, non sono poi così diverse da quelle che oggi continuano a verificarsi nel Meridione: "Sono cambiati gli attori, ma non i fatti. Quando ero bambino a lavorare nei campi venivano delle ragazze dal brindisino, ora accade con gli extra comunitari. Il caporalato anche se in maniera diversa, giù esiste ancora e mancano delle risposte".
Nel ruolo del protagonista Riccardo Scamarcio, che si mette ancora una volta alla prova nella doppia veste di produttore e interprete; con Ciccio condivide sicuramente le radici e quel Sud, che in quanto Pugliese conosce bene. Un Sud selvaggio, ancestrale, che profuma di uliveti e madri chine sugli argini dei fiumi, che sa anche essere violento, soprattutto con le donne e i più deboli; a convincerlo due aspetti fondamentali: "Il primo è quello dello sfruttamento, della disparità e lotta di classe, il secondo è un elemento in cui può riconoscersi un pubblico molto vasto e cioè il desiderio di scappare dal posto in cui si vive, o la nostalgia per le proprie radici da parte di chi invece se ne è andato".
Dentro ci sono "suoni, atmosfere e sensazioni che ho vissuto anche io da bambino, magari tanta gente emigrata a Boston o a Chicago si riconoscerà in queste scene". E precisa: "Non è un ritorno alla terra, perché non me ne sono mai andato e ho mantenuto un legame molto forte con i luoghi dell'infanzia, alcuni di questi li abbiamo usati anche nel film; ad esempio abbiamo girato in uno dei posti in cui da bambino andavo spesso con mio padre in cerca di funghi".
Di Ciccio lo ha affascinato il fatto che, pur essendo sposato e con un bambino, si innamori di un'altra donna e sogni di fuggire con lei: "Mi piaceva che avesse delle cose con le quali non si può completamente aderire, una sorta di incosciente egoismo". Non è la prima volta che Scamarcio si confronta con una figura paterna, lo aveva già fatto ne La prima luce e Il ladro di giorni: "La paternità è un rapporto assoluto, il cinema deve rimanere lontano da qualsiasi analisi pedo sociologica, mi interessa invece il carattere ancestrale di questo amore che va al di là di te. Quello per un figlio è un amore che non ti prevede".
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Riccardo Scamarcio, il doppio impegno di produttore e attore
Sulla sua esperienza di produttore e interprete, come sempre più spesso gli capita di fare, rivela: "Costruire un film da zero e avere una visione a trecentosessanta gradi è un privilegio, l'idea è quella di riuscire ad aprire un collegamento diretto tra la parte creativa e quella produttiva, piuttosto che mettere in giro un altro attore-regista ho deciso per diversificare di fare l'attore-produttore". Ed è convinto che "al di là di come vengano, fare film rimane la cosa più bella che c'è. Spero che quando crescerà mia figlia capisca che il cinema è meglio della vita". Perché non è semplicemente il luogo in cui viene visto un film, "ma un modo di raccontare. Non morirà mai, parla al nostro inconscio, ha una corsia preferenziale. Le sale riapriranno e ci sarà un grandissimo ritorno, è presto per fare conti, tutti vogliamo che i cinema riaprano. Auguriamoci che accada il prima possibile".
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