Gigi Proietti, nato il 2 novembre 1940 a Roma, se n'è andato il 2 novembre 2020, sempre a Roma. Una circolarità che avrebbe fatto felice Nietzsche (o i protagonisti di Tenet di Christopher Nolan). In questi 80 anni ha lasciato un'eredità immensa: film, serie tv, spettacoli, il Globe Theatre di Roma, da lui fortissimamente voluto. Lo sa molto bene Edoardo Leo, che al maestro, come lo chiama con devozione suprema, ha voluto dedicare quattro anni della sua vita per realizzare il documentario Luigi Proietti detto Gigi.
Presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma 2021, il documentario Luigi Proietti detto Gigi è in sala dal 3 al 9 marzo, con una uscita evento. Il film raccoglie interviste e testimonianze di amici, colleghi e parenti, come Renzo Arbore, Lello Arzilli, Paola Cortellesi, Fiorello, Alessandro Fioroni, Alessandro Gassmann, Marco Giallini, Loretta Goggi, Tommaso Le Pera, Nicola Piovani, Anna Maria Proietti, Carlotta Proietti, Susanna Proietti, Mario Vicari.
Ma soprattutto mostra l'uomo dietro le quinte: Edoardo Leo ha seguito Gigi Proietti nei tour del suo spettacolo "A me gli occhi please", raccogliendo tantissimo materiale. Ne esce, oltre all'artista, una figura umana meravigliosa, con un senso dell'umorismo che gli veniva dalla madre, un'umiltà e una modestia impensabili per un attore che è così visceralmente amato dal pubblico. O forse è così amato proprio per questo: perché è sempre stato popolare nel senso più bello e alto del termine. Ne abbiamo parlato a Roma con il regista e Carlotta Proietti, figlia di Gigi e attrice.
La video intervista a Edoardo Leo e Carlotta Proietti
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Gigi Proietti e la visione etica e morale del mestiere d'attore
Alla fine del documentario Proietti dice: "spero di aver tramandato l'etica di questo mestiere, che è un mestiere molto morale". Spieghiamo questa frase di Gigi Proietti.
Edoardo Leo: quella è una cosa che mi ha detto durante un'intervista. Io ho messo soltanto l'audio di quella cosa e proprio alla fine. Di un attore si possono ricordare tre o quattro cose: Gassman diceva che alla fine di un attore restano tre film. Di una storia teatrale enorme come quella di Proietti è difficilissimo scegliere una cosa. Tra le cose che restano c'è una parte etica di responsabilità per andare in scena: dire certe cose, dirle a delle platee così grandi. Quando gli restituisci la disciplina, il fatto che quello che stanno vedendo è frutto di studio, di ricerca, di approfondimento, questa è la cosa che resta di più al pubblico. Le battute puoi dimenticartele, certe risate possono svanire nel tempo. L'immagine di un uomo che ha avuto un rispetto profondo per il suo mestiere - e in questo paese per i mestieri artistici ancora non è così profondo, si dice spesso "vabbè l'attore, ma di lavoro che fai?" - è un'eredità che ci resta.
Gigi Proietti e il senso dell'umorismo materno
Nel documentario vediamo anche il rapporto di Gigi Proietti con la famiglia. È interessante come, proprio come nel film di Paolo Sorrentino È stata la mano di Dio, si scopra che il senso dell'umorismo di Proietti venisse dalla madre, esattamente come quello del regista napoletano. Quanto è importante avere un imprinting del genere? Hanno contribuito anche le mamme alla verve di questi artisti?
Carlotta Proietti: Credo proprio di sì, assolutamente. Sua mamma, quindi mia nonna, era una persona di una simpatia totale, era proprio simpaticissima: da lei mio padre ha preso questo suo modo di sdrammatizzare sempre, su tutto. Che non vuol dire scherzare, ma giocare. Lui amava molto fare questa distinzione: era estremamente importante. Di conseguenza il suo modo di trattare se stesso e il proprio lavoro ha le sue radici lì. Le mamme sono sempre fondamentali: lo ha esortato a tenere sempre i piedi per terra. Nel film si vede: lui, dopo una fatica incredibile, chiese alla madre che ne pensava di "A me gli occhi please", credendo evidentemente di trovare un entusiasmo come era quello del pubblico. Invece quando lui le chiese "che ne pensi?" lei disse: "abbastanza". Credo che questo "abbastanza" abbia segnato una carriera. Secondo me, vedendo poi come hanno cresciuto me e mia sorella, assolutamente positivo.
Da attori quanto è importante sentirsi dire questo "abbastanza" e non continuamente "sì, bellissimo", "bravissimo"?
Edoardo Leo: È la cosa che ti tiene ancorato alla terra. Poi Gigi non amava molto i superlativi, raramente glieli ho sentiti usare. A volte di qualche battuta mi diceva "questa è irresistibile", un aggettivo che usava spesso. Sicuramente se l'affetto del pubblico è rimasto così grande fino a oggi, a un anno dalla sua scomparsa, è proprio grazie al rapporto umano con la città, con le persone, con i colleghi. E si deve al fatto che è rimasto ancorato alla terra con quell'abbastanza.
Gigi Proietti e il significato di "popolare"
Nel documentario Luigi Proietti detto Gigi si parla anche del concetto di popolare: per lui Shakespeare era popolare. Perché secondo voi nel 2021 c'è un'idea forse sbagliata dell'essere "popolare"? Che invece è una cosa bellissima.
Carlotta Proietti: Non lo so perché. Papà aveva una caratteristica, che lo racconta anche molto bene: riusciva sempre a offrire un altro punto di vista. Si interrogava su qualcosa che magari tutti davano per scontata. Come questa: Shakespeare, siccome è Shakespeare, non è popolare. Ma non è così. Effettivamente quando uno si va a studiare i testi vede che i temi trattati rispecchiano assolutamente un teatro popolare. Da lui partiva sempre una visione in qualche modo pionieristica: sempre diversa e più coraggiosa rispetto a quella di molti altri. Questa è una cosa che mi piaceva sempre: farmi sorprendere da un suo parere.
Edoardo Leo: Quando io glielo chiedo dice una cosa che non avevo mai sentito prima: lui dice che popolare significa accogliere. E accogliere vuol dire che tu devi essere in grado di rendere anche un testo molto, molto complesso qualcosa che accoglie il pubblico e non lo respinge. Onestamente quando lo intervistavo c'erano delle volte che mi cascava la mascella. Pensavo: ha detto qualcosa a cui non sarei mai arrivato nemmeno tra cento anni. Ti rendi conto che sono delle persone che hanno una capacità di guardare, di fotografare le cose in un modo tutto loro e ti illuminano. E quando le persone ti illuminano rendono più bello tutto quello che ci sta intorno. È quello che spero succeda con questo documentario: a me ha insegnato un sacco di cose e ho cercato di restituirle.