Luc Besson: 'The Lady mi ha cambiato, come uomo e come artista'

La nostra lunga chiacchierata con uno dei produttori e dei registi più conosciuti e prolifici del cinema mondiale, in tour in Italia per la presentazione del suo nuovo attesissimo The Lady, il biopic che grazie alla straordinaria interpretazione di Michelle Yeoh ci regala un indimenticabile e vivido ritratto della pacifista birmana Aung San Suu Kyi.

Liberata dopo quindici anni di arresti domiciliari nel novembre 2010, durante le riprese del film sulla sua vita, Aung San Suu Kyi è finalmente una donna libera, sempre che si possa definire libera una persona che non può varcare i confini del suo Paese, la Birmania, perché non potrebbe mai più rientrarvi. The Lady racconta la vita e l'opera di coraggio civile di una piccola grande donna, Premio Nobel per la Pace nel 1991, candidata in Birmania alle prossime elezioni politiche del 1° aprile come leader del movimento democratico, insieme un epico racconto d'amore e un intenso dramma socio-politico che restituisce la figura di riferimento della battaglia paciifica del popolo birmano che rivendica da decenni il suo diritto alla democrazia e la sua libertà dalla dittatura militare. E' proprio il regista del film Luc Besson, mitico autore di Léon, Nikita e Il Quinto Elemento, a parlare di The Lady come di un film d'amore: per la famiglia, per la patria, per la propria dignità, per la libertà. Nonostante il regime pericoloso ed ostile e le lunghe e sofferte separazioni dall'amato consorte Michael Aris, professore di Oxford, e dai due figli, l'amore di Aung San Suu Kyi per la democrazia ha vinto la battaglia più importante di una guerra che ancora oggi va avanti, regalando all'umanità una storia di devozione e di sacrificio unica al mondo. Al centro di questa intensa cinebiografia una delle attrici asiatiche più versatili degli ultimi anni, Michelle Yeoh, nei panni della donna esile di statura ma dall'enorme forza d'animo che ha messo con le spalle al muro grandi uomini di potere insegnando loro una lezione di vita che difficilmente dimenticheranno. Il regista, cinquantaquattro anni compiuti poche ore fa, ha potuto incontrare Suu Kyi solo dopo la fine delle riprese del film in Birmania, dove si è recato con grande emozione per parlare vis-à-vis con la donna che gli ha migliorato la carriera e la vita. Il regista parigino ci ha raccontato in esclusiva il suo emozionante incontro con Aung San Suu Kyi, che comprensibilmente si è detta non ancora pronta per affrontare una visione del film, ed il cambiamento che questa vicinanza ha provocato in lui. Ma non è tutto, perché Luc Besson ci ha parlato anche d'amore, del suo passato personale e professionale ed ha anche commentato gli Oscar 2012. The Lady arriverà in sala venerdì 23 marzo distribuito dalla neonata Good Films.

In un'intervista qualche giorno fa ha dichiarato che grazie a The Lady è riuscito per la prima volta a narrare la storia di un amore senza timidezze. Considera questo il film della sua maturità, il vero punto di svolta della sua carriera verso un cinema più impegnato?
In tutti i miei film si è sempre parlato d'amore ma questa è la prima volta che riesco ad affrontare in maniera piena ed appassionata l'argomento, sia perché il mio carattere timido ed introverso mi ha sempre portato a parlarne in modo non troppo diretto, sia perché quando sei giovane ed hai vent'anni non sai bene cosa sia l'amore, lo capisci solo crescendo. Quando ho letto la sceneggiatura ho capito che ero pronto per affrontare un argomento di questa importanza e soprattutto che ero pronto a farlo senza esitazioni.

Cos'è per lei l'amore?
L'amore per me è un po' come una lingua, una cosa che si impara sin da piccoli, e se qualcuno te lo insegna male puoi sbagliare la pronuncia o l'intonazione di alcune parole e metterci tanto tempo per imparare a parlarla bene. Non ho avuto degli 'insegnanti' all'altezza quando ero giovane.

Riflettendo in generale sui biopic, quali sono secondo lei i rischi di un genere così particolare quando si tratta di raccontare la vita di grandi personaggi della storia contemporanea come Aung San Suu Kyi?
In questo caso la sfida per me non era quella di realizzare semplicemente un biopic ed essere più o meno fedele alla realtà ma quella di raccontare la vita di una persona di cui si sa veramente poco e con la quale non era in alcun modo possibile interagire. Mi interessava soprattutto sapere se lei sarebbe stata d'accordo con questo film, questo punto per me rappresentava una grande preoccupazione ma alla fine ho deciso di realizzarlo comunque e di rischiare. Ho però voluto sul set almeno duecento birmani a fare da consiglieri, avevano il dovere di dirmi con sincerità se quello che stavo raccontando o girando era fuori luogo.

Pensa di aver fatto un buon lavoro e di aver restituito con onestà il contesto sociale, politico e militare di questa vicenda?
La più grande soddisfazione l'ho avuta dopo la proiezione del film quando queste duecento persone sono uscite con le lacrime agli occhi chiedendomi come avessi fatto a mostrare certe sfumature e certi particolari di un paese, la Birmania, in cui ero stato solo per poco tempo e che conoscevo davvero pochissimo.

Dopo la fine degli arresti domiciliari, terminati nel novembre 2010, e dopo diversi tentativi di farle arrivare un suo messaggio alla fine è riuscito ad incontrarla e a parlare con lei. C'è qualche domanda che Suu Kyi le ha fatto appena vi siete incontrati?
Non mi ha chiesto nulla sul film, è una persona del tutto priva di manie di protagonismo e che non ha assolutamente il culto della personalità. Certo mi ha ringraziato moltissimo per il film, era molto felice che io lo avessi fatto per mantenere vivo l'interesse nei confronti della sua causa e di quella del popolo birmano. Abbiamo parlato di tante cose, della Francia, dell'Europa, dell'istruzione, dei figli, dell'importanza della famiglia. D'altronde avevo di fronte una persona che era stata reclusa per quindici anni e non aveva potuto avere alcun contatto con il mondo reale e con l'attualità ed era perciò curiosa di sapere più cose possibile sul mondo esterno, un mondo per lei così lontano e irraggiungibile.

Vestito da turista e con la sua telecamera portatile è riuscito a 'rubare' 17 ore di girato in Birmania, immagini che poi sono finite nel film mischiate alle riprese vere e proprie effettuate in Tailandia. Cosa ricorda di quei momenti in terra birmana? Che sentimenti ha generato nel suo cuore questa esperienza da 'videoamatore'?
La forza che ha sempre caratterizzato il mio cinema viene sicuramente dal fatto che io ho cominciato a fare questo mestiere senza avere i mezzi tecnici necessari per farlo al meglio e senza denaro a disposizione. Per carattere sono piuttosto testardo e spesso quando vengo messo fuori la porta io cerco di rientrare dalla finestra. Sono una persona che ha un grande spirito di adattamento, ho una grande abilità nel risolvere i problemi. Ho girato film anche con dieci macchine da presa costosissime ma di certo non mi spaventerei se dovessi girare un film solo con la mia piccola videocamera a mano. Ecco perchè per me è stato facilissimo addentrarmi in un mercatino birmano e filmare per ore e ore. Penso di essere anche molto a mio agio nel manipolare e nel mixare le immagini documentate con quelle girate sul set.

Un cineasta a tutto tondo che sa adeguarsi ad ogni contesto insomma...
Beh ci sono quei registi che entrano in crisi quando hanno troppe persone intorno sul set, o quelli che entrano in crisi quando si trovano in ristrettezze economiche e non possono avvalersi di mezzi all'avanguardia. Io sono stato sempre una persona che si è adattata ad ogni situazione. Quando abbiamo cominciato la produzione di The Lady eravamo in due con una piccola videocamera in spalla e siamo finiti a girare l'ultima scena, quella del discorso alla Pagoda, con seimila comparse e otto macchine da presa. Ricordo che quando ero giovane una volta mentre giravo un film mi era finita la pellicola e mi è anche capitato di doverla rubare per riuscire a portare a termine il mio lavoro (ride). Mi basta una macchina da presa e degli attori e poi sono pronto a fare qualunque cosa, a mettermi in gioco sempre e comunque.

Prima di leggere la sceneggiatura lei ha ammesso di non sapere nulla o quasi sulla vita di Aung San Suu Kyi, cosa pensa di aver imparato da questa esperienza umana così forte?
Sicuramente ho imparato cosa significa avere un'umanità al giorno d'oggi, la società in cui viviamo è disumana e a volte mi fa paura. Avere la possibilità di conoscere a fondo una donna che a mio avviso è la degna rappresentante della razza umana nella sua essenza più pura è stato per me un grande onore. E' una donna bella dentro e fuori, ed è divenuta per me un modello di vita. Incontrarla mi ha cambiato profondamente, la sua grazia ha toccato la mia anima fino in fondo. Sicuramente ora mi è molto più semplice distinguere cosa è bene da cosa è male. Quando nella vita hai avuto la possibilità di conoscere una persona così tanto speciale tu ti senti quasi insignificante al suo confronto.

Professionalmente com'è cambiato Luc Besson dopo la regia di The Lady?
Come regista ho imparato ad essere più umile, più sobrio, più equilibrato nella narrazione, più attento ai particolari. The Lady non è un film che ti permette di fare il tuo show o di mostrare al mondo quanto sei bravo. Ti da però l'occasione di imparare a farti da parte in favore della storia che stai raccontando. Nessun effetto speciale, nessun movimento di macchina particolare, per rispetto verso la signora Suu Kyi ho voluto togliere di mezzo tutti gli artifici e raccontare con rigore una storia d'amore intensa ed autentica. Farò tesoro di questa lezione per il futuro.

Che tipo di rapporto si è creato sul set con Michelle Yeoh che ha rappresentato il punto di contatto tra lei e questo film e la figura così importante della storia contemporanea?
Io e Michelle eravamo già molto amici prima di questo film, lei è sposata con uno dei miei migliori amici (Jean Todt, ndr) e la mia stima come attrice era già sconfinata prima di girare il film. Siamo molto contenti di aver condiviso questa esperienza così intensa ed io sono molto fiero di lei, del suo modo di donarsi completamente al personaggio. La sua bravura mi ha di molto facilitato il lavoro durante la produzione.

Perché secondo lei perché negli Usa il suo film è stato così snobbato e Michelle Yeoh completamente ignorata dall'Academy per gli Oscar 2012?
Per poter lanciare il proprio film agli Oscar bisogna essere molto abili. Decidere di buttarsi in quest'avventura è un po' come decidere di candidarsi in campagna elettorale, bisogna essere addentrati nelle lobbies del grande cinema, bisogna mettere su una grande struttura organizzativa e distributiva ed avere tantissimi soldi da investire nel progetto. The Lady è arrivato un po' tardi rispetto alla programmazione di queste 'campagne' e quindi ne è rimasto fuori anche perchè noi non eravamo pronti ad affrontare un'avventura simile dopo aver tanto faticato per cercare di portare a termine le riprese. Il film mi ha assorbito completamente e non avevo la forza di competere anche con questo tipo di sistema per far in modo che venisse a tutti i costi considerato per i premi. Non sono neanche così bravo in questo tipo di situazioni, lo ammetto.

Il film ha comunque ricevuto tantissimi riconoscimenti in giro per il mondo...
Sì, sono molto fiero dei premi vinti dal film in altri contesti. E' stato considerato il miglior contributo cinematografico alla democrazia nel 2011, ha avuto il riconoscimento di Amnesty International e l'International Human Rights Film Award consegnato da Cinema for Peace a Michelle Yeoh. Questi premi arrivati da queste importantissime organizzazioni mi fanno sentire bene e mi fanno capire che probabilmente sono riuscito a dare il mio piccolo contributo al riavvicinamento dei popoli e alla lotta per la libertà di Aung San Suu Kyi.

La settimana scorsa Danny DeVito non ha avuto bellissime parole né per The Artist, definendolo un film un po' antiquato, visto già mille volte, né sulla cerimonia di consegna degli Oscar. Da regista francese come giudica il successo internazionale di The Artist?
Personalmente ho molto apprezzato il film, ma bisogna sicuramente fare una distinzione su questo argomento. Il regista è molto bravo come anche gli attori protagonisti che hanno lavorato con umiltà e con onestà in quello che è nato come un piccolo film indipendente che nessuno in Francia voleva produrre. Il produttore è stato davvero molto coraggioso ad investire su un film così particolare e a dare carta bianca ad un regista che ha realizzato esattamente il film che aveva in mente di fare nonostante le evidenti difficoltà di realizzazione. Nessuno di loro ha però nulla a che fare con le decisioni dell'Academy, come dicevo prima per lanciare un film agli Oscar ci vogliono costanza, denaro e pubblicità ed il distributore americano che ha comprato The Artist ha investito tantissimi soldi ed è stato abilissimo in questa operazione di promozione. La lavorazione del film non ha nulla a che vedere con la campagna di diffusione e di divulgazione che è costata tra i dieci e i quindici milioni di dollari al distributore, queste due cose vanno analizzate separatamente. Per quel che conta il mio giudizio trovo che il film sia delizioso, non è di certo per me il miglior film dell'anno ma è comunque un film ben fatto.

C'è un film che le è piaciuto in maniera particolare e che secondo lei avrebbe meritato più attenzione?
Ho trovato molto interessante In the Land of Blood and Honey, il film d'esordio alla regia di Angelina Jolie sulla Serbia, un'opera di valore, molto forte che sicuramente meritava di più ma che è stato anch'esso ignorato dall'Academy.