Migranti, respingimenti, sbarchi, regole da imporre ai salvataggi da parte delle ONG. Questa è l'attualità che invade le pagine dei quotidiani, occupa le aperture dei tg, è al centro degli slogan urlati dai vari partiti politici e chiama a raccolta gli opinionisti del web più o meno informati. Il 7 settembre arriverà nelle sale, distribuito da Parthenos Film, L'ordine delle cose, pellicola di Andrea Segre che affronta il tema dell'immigrazione scegliendo una prospettiva diversa. Segre decide di raccontare l'operato dei governi scegliendo il punto di vista di un funzionario del Ministero degli interni che ha il compito di trattare con la Libia per arginare il flusso dei barconi.
La pellicola, concepita due anni fa, si è rivelata profetica viste le polemiche sorte negli ultimi mesi sull'operato delle ONG, ma il regista sottolinea come la sua sceneggiatura "preveggente" sia, in realtà, frutto di un attento lavoro di ricerca: "Abbiamo cominciato a scrivere il film un paio di anni fa. Volevamo fare un film che non fosse dedicato solo all'attualità, ma parlasse d'altro. L'Italia stava preparando un'operazione che aggira il divieto della Corte Suprema per i Diritti Umani di non fare respingimenti, quindi era facile prevedere cosa stesse per succedere".
La Libia è vicina
L'ordine delle cose scava in profondità nei meccanismi che regolano i flussi migratori, illustrando il funzionamento di un sistema fatto di accordi sottobanco tra governi ed entità più o meno misteriose. Sistema di cui i media parlano in modo superficiale non permettendo ai cittadini di farsi un'idea precisa di cosa accada realmente. Lo stesso Andrea Segre ha fatto un rigoroso lavoro di ricerca insieme allo sceneggiatore Marco Pettenello per capire i meccanismi complessi tra Italia e Libia. "Abbiamo lavorato su due fronti: siamo stati nella Sicilia del Sud, abbiamo incontrato tanti poliziotti che si occupavano di immigrazione e cooperazione. Umanamente erano persone collaborative, ma la loro funzione contiene un elemento di spietatezza. Abbiamo lavorato anche sul fronte libico, ma purtroppo non abbiamo potuto girare in Libia. L'unica Libia che vedete nel film sono le sequenze dei profughi che escono da un camion che Rinaldi visiona sul pc e poi abbiamo avuto un paio di attori, tra cui il videoreporter Khalifa Abo Khraisse che ci ha aiutato molto. Non avendo potuto girare in Libia l'abbiamo dovuta ricostruire. Abbiamo fatto un lavoro di ricerca sui centri di detenzione, sulle guardie costiere libiche. I veri Corrado Rinaldi hanno visto parti del film e mi hanno confermato che era corretto". Durante la preparazione Giuseppe Battiston, ha trascorso due mesi in Libia senza però avere accesso a niente. "Sono stato a guardare dalla finestra" commenta amaro l'attore.
La Libia presente nel film è stata ricostruita in Sicilia e Tunisia, ma un contributo fondamentale proviene dai veri migranti che hanno descritto al regista la vita nei centri di accoglienza e che hanno partecipato come comparse: "Con loro abbiamo preparato la messa in scena dei centri di detenzione. Abbiamo lavorato mesi per preparare le scene e ci chiedevamo se per loro non fosse troppo doloroso, ma sono stati tutti felici di mostrare ciò che era accaduto. Anche Yusra Warsama, l'attrice somalo/inglese che interpreta Swada, ha costruito il suo personaggio insieme alle donne che erano state nel centro di detenzione. Khalifa Abo Khraisse è presente a Venezia insieme al cast italiano, ma preferisce non commentare la situazione nel suo paese e spiega: "Per me è un po' difficile parlare di queste cose, per essere oggettivo ho stabilito una linea. Non do mai la mia opinione ma fornisco solo informazioni. E' stato importante per essere leale nei confronti della visione di Andrea Segre con cui ho collaborato due anni. Per noi libici non è facile perché quello che ci raccontano non è vero e i poteri di cui ci fidiamo non sono quelli che contano".
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Un cinema civile per stimolare le menti
Centrale ne L'ordine delle cose è il ruolo interpretato ottimamente da Paolo Pierobon, quello del funzionario degli interni Corrado Rinaldi. Un ruolo costruito per sottrazione, con grande attenzione da parte dell'attore: "All'inizio volevamo dare l'impressione di seguire una persona normale, ma alla fine abbiamo indagato gli spazi di dolore che il personaggio cerca di coprire. L'ossessione per l'ordine, le idiosincrasie del personaggio, cercano di coprire questa tensione". Valentina Carnelutti, che interpreta la moglie di Rinaldi, commenta così il suo ruolo: "Il mio personaggio vive in un acquario, è circondato dagli agi. Mettendosi più scomodi riusciamo a vedere altre cose, di rendersi conto di nuovi aspetti della realtà".
Giuseppe Battiston non è molto loquace, ma quando interviene le sue parole hanno un peso notevole. L'attore ci tiene a sottolineare la natura politica del film a cui ha partecipato precisando: "E' un film politico, ma non fazioso. L'aspetto più importante sono gli interrogativi che pone e non le risposte che dà. In questa occasione specifica siamo il veicolo di una riflessione che è molto più grande del nostro lavoro, cosa che nel cinema non accade spesso. Bisogna capire, però, se la gente quando va al cinema lascia il cappello e non anche la testa". Gli fa eco Paolo Pierobon: "La politica ha molto a che fare col privato in questo film. Mi piacerebbe che per un minuto il film toccasse qualche corda emotiva". Rivendicando il legame con la tradizione del cinema di impegno civile degli anni '70, Andrea Segre ci informa che "il secondo cartello in apertura è lo stesso di Le mani sulla città di Francesco Rosi. Il cinema politico per me è quello che racconta le tensioni politiche dell'epoca in cui viviamo. Il cinema italiano lo ha fatto in maniera altissima, ma negli ultimi anni sembra avere un po' paura".
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