Lion: L'intensa storia vera di Saroo e la strada verso casa

Garth Davis racconta attraverso la storia vera di Saroo la memoria dei luoghi e la definizione della propria esistenza, in un viaggio alla ricerca delle proprie origini restituito con amore per l'amore.

Lion: Sunny Pawar in una scena del film
Lion: Sunny Pawar in una scena del film

Esistono molti modi di ricordare qualcosa: ci si può affidare alla razionalità, a un metodo esplicito, oppure si può fare come i bambini e raccogliere autonomamente suoni, colori, odori e sensazioni. Guardare il mondo senza verbalizzarlo, raccogliendo solo una "memoria di qualcosa" impossibile da definire eppure imprescindibile dal circoscrivere ciò che siamo e disegnare la forma del nostro esistere. Saroo (Sunny Pawar) ha cinque anni, e la sua memoria senza volerlo immagazzina tutte queste cose: suoni, colori, sensazioni e odori della sua terra, l'India, con cui vive insieme al fratello maggiore, la sorellina e sua madre, impegnata a raccogliere le pietre e sfamare la famiglia. Non importa che un giorno Saroo finisca per perdersi per sbaglio su un treno che lo porta lontano centinaia di chilometri dal suo villaggio, non importa che arrivi a Calcutta, non sappia dove andare, venga portato in un orfanotrofio e poi adottato da una famiglia australiana. La sua memoria custodisce dentro di lui la forma della sua anima, in un cassetto pronto a riaprirsi al minimo stimolo. Basta il ricordo di un odore, di una sensazione a lungo desiderata e finalmente compiuta ad aprirlo e far ritornare prepotente quella forma di bambino, che a fatica si rimodella dentro l'uomo che è diventato come un puzzle i cui pezzi non combaciano.

La ricerca di quell'incastro costa all'ormai adulto Saroo (Dev Patel) molto tempo e molta sofferenza: la sua vita perfetta costruita grazie ai nuovi genitori Sue (Nicole Kidman) e John (David Wenham) inizia a soffocarlo, mentre tornano a galla immagini, odori e sensazioni a cui Garth Davis affida il compito di richiamare il ragazzo, come un istinto primordiale e animalesco che lo porta a cacciare una preda. Saroo si dimena nella sua gabbia dorata, allontana gli affetti e ripercorre su rotaie immaginarie il suo percorso verso casa, una puntina dietro l'altra, eterna rincorsa verso la giusta forma e l'incastro perfetto.

Alla scoperta di se stessi

Lion: Nicole Kidman in una scena del film
Lion: Nicole Kidman in una scena del film

L'India di Saroo e di Garth Davis è duplice: un labirinto urbano pieno di insidie e un tessuto rurale accogliente e sicuro uniti da due rotaie, che conducono verso un pericolo assicurato da cui solo un caso riesce a salvare il protagonista. Una situazione fin troppo favolistica per essere vera, eppure Saroo Brierley è esistito davvero e dal suo libro di memorie il regista ha adattato Lion, che si districa nelle emozioni del suo protagonista tentando di restituire la sua ossessiva ricerca sullo schermo. Per farlo Davis richiama proprio la nostra memoria procedurale, accompagnando il piccolo Saroo nella prima parte, e con lui lo spettatore, nella scoperta del suo mondo, creando una sensazione di nostalgia che spinge a compiere quel viaggio per mano del protagonista, accanto a lui, proprio come la sua fidanzata Lucy (Rooney Mara) vorrebbe fare. La tecnica passa al servizio delle emozioni quindi, non dichiara ma al contrario sottintende, lasciando scivolare tutto attraverso gli enormi e dolci occhi color cioccolato di Sunny Pawar che si trasformano in quelli di Dev Patel, velati da una patina lucida di rimpianti e bisogni. Il gioco funziona a metà, fino al momento in cui lo spettatore non sente il bisogno di qualcosa di più, di un'azione che rimane costantemente in passivo e non riesce ad attivarsi trascinandoci verso un ritmo più sostenuto.

Lion: Nicole Kidman e Sunny Pawar in una scena del film
Lion: Nicole Kidman e Sunny Pawar in una scena del film

È un mondo piccolo

Lion: Rooney Mara in una scena del film
Lion: Rooney Mara in una scena del film

L'universo cercato dal protagonista è piccolo come un villaggio senza nome, ma vasto come il mondo intero sul suo schermo del computer. Più cerca e più si perde, eppure in quell'insistenza Garth Davis mette tutta la sua delicatezza, costruendo una strada dopo l'altra il bisogno di sentirsi identificati, di capire le proprie origini e di ritrovare il proprio posto nel mondo, anche se questo significa capire che lo si aveva già. Perdersi per ritrovarsi, e ritrovarsi perdendosi: una dicotomia che segna profondamente la vita di Saroo e il senso del suo viaggio, dal finale emotivamente sperato ma lievemente ricattatorio dal punto di vista cinematografico, complice una pennellata finale nella realtà che ammorbidisce qualcosa che, al contrario, avrebbe avuto bisogno di un pizzico di solidità in più per potersi elevare. A restare è una intensa struttura emotiva, una rispettosa attenzione per una storia reale e delle interpretazioni perfettamente bilanciate, che rendono Lion un film fatto di sensazioni: "memoria di qualcosa", non verbalizzabile eppure con un piccolo posto nel cuore.

Movieplayer.it

3.0/5