Lights Out: tutti hanno paura del buio

Dal suo corto girato in terra svedese, David F. Sandberg prende spunto per un horror velocissimo ma altalenante nella tensione come, a lungo andare, nello spavento cinematografico.

È fin dalla notte dei tempi che l'uomo teme l'ignoto, l'oscurità, di quello che si cela nella sua primitiva essenzialità o a ridosso delle nostre più ancestrali paure. Bastano, forse, confortanti candele al LED, lampade, fari, l'affidabilità di un interruttore per sfuggire all'avanzare delle tenebre e da tutto ciò che di minaccioso nascondono? Su questa dicotomia buio/luce verte l'idea semplicissima di Lights Out - Terrore nel buio, horror estivo low-budget girato alla 'vecchia maniera', dove la mostruosità sovrannaturale si annida in ogni angolo e anfratto poco illuminato. Perpetrando il mito del Boogeyman (l'uomo nero, immaginato recentemente nell'acclamato Babadook di Jennifer Kent) all'interno di un quadro familiare spezzato (con relazioni disfunzionali), tra cliché raccapriccianti ed ironia da teen-movie pronte a reclamare un taglio commerciale dall'effetto iperveloce e anche un po' demenziale.

Lights Out - Terrore nel buio: una scena del film
Lights Out - Terrore nel buio: una scena del film

Sulla scia dell'omonimo corto datato 2013 (oltre 12 milioni di visualizzazioni su Youtube), l'esordio del regista svedese David F. Sandberg è di quelli su scala mondiale, nato sul web e poi sbarcato alla corte del produttore James Wan (Saw - L'enigmista, The Conjuring - Il caso Enfield). Per 80 minuti di concentrato terrificante, non sempre ben gestiti seppur alimentati con arguzia da vari livelli di suspense, visibile e psicologica, ma in grado di riportare in auge il più efficace degli espedienti orroriferi: lo spavento cinematografico. Quello del jump-scare ad ogni costo e con ogni possibile stratagemma, pronto a inghiottirci in un sol boccone non appena spenta l'ampoule per dormire. Corpo e struttura di una storia che, lungo andare, affievolisce pienamente tutte le sue provocanti premesse; crollando sulle stesse incongruenze narrative, perdendo forza e mordente a discapito di angoscia e sussulti.

Lights Out - Terrore nel buio: Gabriel Bateman in una scena del film
Lights Out - Terrore nel buio: Gabriel Bateman in una scena del film

Quando Rebecca (l'attraente Teresa Palmer) cambia casa, pensa di essersi lasciata alle spalle le paure che le hanno tormentato l'infanzia. Diventando adulta, non è mai stata veramente sicura di cosa fosse reale e cosa non lo fosse al calar della notte; ora anche il piccolo Martin (Gabriel Bateman), suo fratello, sta vivendo gli stessi incubi ed eventi inspiegabili che in passato minacciarono la sua salute mentale. Perché c'è qualcosa di sinistro nel buio della casa dove vive la madre Sophie (Maria Bello), una donna afflitta da gravi disturbi mentali. La presenza di un'entità spaventosa, Diana, che si nutre del loro terrore.

L'orrore si nasconde nell'ombra

Lights Out - Terrore nel buio: Teresa Palmer terrorizzata in una scena del film
Lights Out - Terrore nel buio: Teresa Palmer terrorizzata in una scena del film

Tanto esternamente cupo quanto internamente naif, Lights Out si avvale di un notevole apparato tecnico che appaga l'occhio ma non convince sulla lunga distanza. Al netto di uno script francamente scarno, che paga lo scotto di personaggi flebili e dal background troppo inflazionato. Perché - nero e sinuoso come un ragno - il buio di Sandberg incute davvero paura solo all'apparire della sua creatura parassita: dal vago look contorto, demoniaco, così famigliare da ricordare la Samara di The Ring. Realizzata in modo totalmente artigianale, Diana è l'incarnazione del Male, il 'volto' del film più riuscito nonché l'arma letale e disumana capace, perfino, di non avvalersi della rassicurante CGI. Pregio di un trucco certosino nel dettaglio, sapientemente giostrato tra apparizioni estemporanee (in formato silhouette) e gli immancabili sbalzi di luce tipici del genere. Un compito arduo eppure straordinariamente eseguito dalla fotografia di Marc Spicer, chiamata a sviscerare le ansie più iraconde annidate fra le ombre delle mura, sotto il letto e nel famigerato sgabuzzino. Dove invece stentano le trovate più surreali o dalla facile leggerezza, ecco l'omaggio ad un intero sottotesto psicoanalitico: che guarda dritto al nostrano Mario Bava, e soprattutto, al variegato thriller in salsa svampita di Wes Craven.

Lights Out - Terrore nel buio: Gabriel Bateman e Maria Bello in una scena del film
Lights Out - Terrore nel buio: Gabriel Bateman e Maria Bello in una scena del film

Quando l'originalità non è di casa

Lights Out - Terrore nel buio: Gabriel Bateman in una spaventosa scena del film
Lights Out - Terrore nel buio: Gabriel Bateman in una spaventosa scena del film

Una volta 'tornati' alla luce, peccato che Lights Out amplifichi quei difetti e allarmanti grossolanità della maggior parte delle produzioni horror americane. Con dialoghi poverissimi, a volte inconsistenti, resi al peggio da interpreti non tutti a loro meglio. Dalla bad girl Teresa Palmer fino alla sfaccettata Maria Bello, il risultato allora cambia poco o niente. Purché l'azione appaia sempre imprevedibile, furiosa quanto basta a regalare qualche brivido e momenti di genuino sobbalzo dalla poltroncina. Sandberg predilige il 'mostro' che indagare le deformità insite dentro il suo nucleo famigliare. Levigando, in sottrazione, un'opera disturbante che torni alle radici della paura atavica: declinata in chiave, se non originale, per lo meno 'credibile'. A buon mercato.

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Movieplayer.it

2.5/5