Citare il titolo originale della serie tratta dai romanzi di George R.R. Martin, come vedremo in questa recensione de L'era dei Samurai: La nascita del Giappone, non è affatto casuale. La docuserie distribuita da Netflix ripercorre uno dei periodi più sanguinosi della storia giapponese, il Sengoku, in cui decine e decine di signori feudali si scontravano, in una guerra continua, per conquistare il potere. Un gioco di troni tremendamente violento, che per quanto il titolo potrebbe trarre in inganno, non ruotava tanto attorno alla figura del samurai, il guerriero altamente specializzato che proprio in questo periodo acquisì le caratteristiche che in seguito lo hanno immortalato nell'immaginario collettivo, ma su quei signori della guerra, i daimyo, che - tra intrighi, tradimenti, colpi di stato, suicidi ritualizzati per mantenere il proprio onore - si affannavano per primeggiare gli uni sugli altri.
Alle imponenti ricostruzioni storiche, L'era dei Samurai: La nascita del Giappone affianca il costante contributo di una pletora di esperti internazionali: la Storia che ci viene raccontata è interessante e coinvolgente - a volte così incredibile da farci chiedere come sia possibile che non si tratti di fiction - e viene portata su schermo senza preoccuparsi di nascondere il lato più violento delle vicende narrate. Il Tardo Medioevo in Giappone, oltre che un momento storico particolarmente sanguinario, è stato un periodo ricco di eventi e di personalità a loro modo tremendamente affascinanti e, per tornare al paragone con la serie già citata, noi ci siamo trovati rapiti dal racconto, in attesa di scoprire chi sarebbe riuscito a vincere il gioco di troni e a conquistare definitivamente il potere.
Scontro tra signori della guerra
La narrazione si apre nel 1551, con la morte di Oda Nobuhide, signore feudale a capo di un clan del Giappone centrale: i figli si ritrovano a scontrarsi per il potere e tra loro emerge Oda Nobunaga, geniale ed imprevedibile stratega assetato di sangue e di potere. Protagonista assoluto della prima porzione della docuserie, Nobunaga porta avanti il sogno di unificare il Giappone, modernizzando dal punto di vista strategico e di equipaggiamento il suo esercito (introduce infatti l'uso di armi da fuoco). Dopo decenni di potere assoluto (ottenuto non senza massivi spargimenti di sangue), però, altre personalità si fanno avanti, cercando di usurparlo. Tra loro conosceremo Date Masamune, detto anche il "drago con un occhio solo", un daimyo proveniente dal Giappone settentrionale, e Toyotomi Hideyoshi, samurai e futuro fondatore del clan Toyotomi. Chi di loro riuscirà a prevalere sugli altri.
Di figure femminili ne vedremo passare solo alcune, come Lady Nene, moglie di Hideyoshi, o ChaCha, una delle sue concubine, personaggi che, pur influenzando costantemente le decisioni dei propri mariti (ed in altri casi tradendoli, cercando di cambiare a proprio favore gli esisti della guerra) rimangono sempre sullo sfondo in un momento in cui sono gli uomini ad essere i protagonisti della Storia che ci viene tramandata. Sarebbe interessante, magari in un documentario completamente dedicatogli, poterle approfondire: certo è che, esplorare personaggi come ad esempio le spie della provincia di Iga - addestrate per sedurre e poi uccidere gli uomini a cui estrapolavano informazioni -, potrebbe essere un ottimo punto di partenza per un documentario altrettanto avvincente. La stessa vicenda legata ad Iga, una regione montuosa rimasta isolata dal resto del Giappone per più di 150 anni, spina nel fianco per l'espansione di Nobunaga grazie a suoi guerrieri ninja (per lo più gente comune, ma capace di sfruttare il territorio a proprio vantaggio), dà vita ad uno dei capitoli più affascinanti de L'era dei Samurai: La nascita del Giappone.
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Il contributo di storici ed esperti
Il contributo di così tanti esperti risulta un ottimo complemento per le ricostruzioni storiche, a cui viene lasciato sempre un ruolo di primo piano. Molti di loro sono in grado, mentre raccontano le vicende che vediamo susseguirsi sullo schermo, di trasmettere l'enorme passione che provano per la materia, coinvolgendo così ancora di più lo spettatore in quanto narrato. Detto questo, però, il fatto che si limitino a riportare quanto accaduto, senza mai contraddirsi a vicenda, senza mai evidenziare i punti in cui come studiosi si sono trovati in disaccordo gli uni con gli altri, distanzia un po' lo spettatore dal fatto che si tratti di un documentario e non di un'opera di fiction. Questo tipo di impostazione data alla narrazione, il fatto che si passi esclusivamente dalle ricostruzioni messe in scena da attori al contributo degli storici (senza visitare - oggi - i luoghi dove avvennero i fatti, senza prendere in considerazione reperti...), risulta nel complesso un po' straniante.
L'era dei Samurai è comunque, a nostro parere, un ottimo prodotto, capace di avvicinare anche il pubblico nostrano a un contesto storico estremamente affascinante ma sicuramente poco conosciuto qui da noi. A visione ultimata ci siamo ritrovati con il desiderio di voler approfondire ancora, di continuare a documentarci sul periodo Sengoku, sui suoi signori e i suoi samurai. Con noi il documentario distribuito da Netflix, che speriamo non si perda nei meandri del vastissimo catalogo della piattaforma, ha quindi certamente raggiunto il suo obiettivo: instillarci la curiosità di saperne di più.
Conclusioni
Concludiamo la recensione di Age of Samurai: Battle for Japan sottolineando ancora una volta come si tratti di un ottimo prodotto, capace di avvicinare anche il pubblico nostrano ad un periodo storico non particolarmente conosciuto. La scelta di affidare la narrazione alla ricostruzione storica raccontata da esperti è sì capace di coinvolgerci ancor di più nei fatti riportati, ma a tratti rende difficile tenere a mente che si tratti di un documentario e non di un'opera di fiction.
Perché ci piace
- Le imponenti ricostruzioni.
- Il contributo degli esperti che trasmettono passione per l’argomento narrato e rendono il tutto molto coinvolgente.
Cosa non va
- Per il tipo di impostazione data alla narrazione a tratti è difficile tenere a mente che si tratti di un documentario e non di un'opera di fiction.