Recensione Sparrow (2008)

Con Sparrow, Johnny To dimostra ancora una volta di saper travalicare i generi con estrema disinvoltura, abbandonando momentaneamente il noir più violento per un mistery romantico e raffinato che omaggia esplicitamente il maestro del genere Alfred Hitchcock.

Leggero come una piuma

In tutte le sue pellicole, Johnny To, ci ha abituato a virtuosisimi registici degni di un equilibrista della macchina da presa, coreografie dove l'obiettivo danza all'unisono con i personaggi, li insegue o li aggredisce in violenti controtempi. I suoi pezzi di bravura non potevano mancare anche in quest'ultimo Sparrow, giocattolo di regia che già nel titolo nasconde la sua vera essenza ludica e disimpegnata. Il passerotto in questione è, in realtà, il termine gergale col quale a Hong Kong vengono chiamati i borseggiatori e Kei, il protagonista del film, è proprio uno di loro, principe del furto, destro ed elegante capo di uno sparuto manipolo di ladruncoli che gira per la città in bicicletta godendone delle bellezze e fotografando tutto ciò che gli capita a tiro. La sua tranquilla routine viene interrotta dall'incontro fatale con un'affascinante dark lady che si materializza improvvisamente di fronte all'obiettivo della sua vecchia macchina fotografica. La donna, che nasconde un misterioso passato, chiede a Kei di rubare qualcosa di molto importante per lei, non prima però di aver fatto perdere la testa sia a lui che al suo socio.

Con Sparrow Johnny To dimostra ancora una volta di saper travalicare i generi con estrema disinvoltura, abbandonando momentaneamente il noir più violento per un mistery romantico e raffinato che omaggia esplicitamente il maestro del genere, l'Alfred Hitchcock di Caccia al ladro. Non per nulla il personaggio di Kei trasuda fascino ed eleganza un po' scanzonata alla Cary Grant e la bella ed enigmatica Chun Lei sfoggia un guardaroba raffinato e stylish degno di Grace Kelly. Ma il maestro di Hong Kong non si ferma qui. Basta osservare la sequenza completamente muta che apre il film per godere appieno del raffinato richiamo alla slapstick comedy con cui To ammicca allo spettatore. Sequenza tenera e divertente che riveste una duplice funzione: introdurre il personaggio del ladro gentiluomo Kei e inaugurare il mood giocoso e naive che permeerà tutta la pellicola. Balletti veri e propri sono anche i borseggi che avvengono a tempo di musica, mostrando portafogli che fluttuano e volteggiano passando con nonchalance da una tasca all'altra e scomparendo nelle mani degli abili scippatori le cui mani fendono l'aria rapide come ali di uccelli.

In ogni film di Johnny To che si rispetti non possono mancare i tradizionali gangster in abito scuro, minacciosi ma non troppo, capitanati dal magnate Mr. Fu che tiene in pugno Chun Lei col vile ricatto: se la ragazza lo abbandona lui la eliminerà. Irresistibile lo scontro finale sotto la pioggia tra i gangster e i pickpocket muniti di ombrello che intervengono in aiuto di Chun Lei, qui il virtuosismo registico raggiunge il top strizzando l'occhio alle più tradizionali scene di duello viste nel western o nel noir e, contemporaneamente, innestando in esse le coreografie create dal maestro di arti marziali Yuen Biao. Il melting pot di input provenienti da generi diversi dà linfa vitale a quello che risulta essere uno dei momenti visivamente più suggestivi del cinema di Johnny To. Purtroppo l'indubbio fascino visivo della pellicola dovuto a questa cifra stilistica personalissima non è supportato da una trama particolarmente solida. La pièce animata da figurine simpatiche, ma esili e inconsistenti, regge solo ai fini di un intrattenimento disimpegnato, l'umorismo surreale e delicato è decisamente apprezzabile ma solo in quanto gioco fine a se stesso, che non lascia tracce durature dietro di sé e che scompare dalla memoria dello spettatore con la stessa rapidità con cui il passero, con un frullo di ali, spicca il volo e si allontana.

Movieplayer.it

3.0/5