Classe 1978, il cineasta belga Guillaume Senez ha esordito con il lungometraggio del 2015 Keeper, presentato al Festival di Locarno e successivamente vincitore del premio principale al Torino Film Festival. Tre anni dopo è tornato alla kermesse sabauda e ha vinto il Premio del Pubblico e il Premio Cipputi con il film Le nostre battaglie, precedentemente mostrato a Cannes come evento speciale all'interno della Semaine de la Critique, la sezione parallela e indipendente dedicata alle opere prime e seconde. L'intervista che segue è stata realizzata lo scorso autunno al Festival du Film Français d'Helvétie, manifestazione svizzera incentrata sul cinema in lingua francese.
Da una famiglia all'altra
In Keeper raccontavi la storia di due giovani che annunciavano l'arrivo di un figlio, mentre ne Le nostre battaglie la famiglia è parzialmente spezzata. Hai volutamente saltato il passaggio intermedio?
Beh, il bello del cinema è il conflitto, se quello non c'è ci si annoia. In realtà i due film offrono punti di vista diversi sul tema dell'essere genitori: nel primo era l'impotenza della paternità, nel secondo è la responsabilità.
Nella tua dichiarazione del catalogo della Semaine de la Critique affermi che non ci sono dialoghi scritti nei tuoi film, e che lavori sui personaggi con i singoli attori. È un metodo simile a quello di Mike Leigh, si potrebbe dire che lui ti ha influenzato?
Moltissimo. Ricordo che quando avevo 15 anni, mentre tutti i miei amici impazzivano per Jurassic Park, io andai a vedere Naked - Nudo. Ci sono anche altri registi che lavorano o hanno lavorato così, ma nei suoi film c'è una spontaneità che mi piace molto.
Mike Leigh ogni tanto evita di svelare certi dettagli agli attori, facendoglieli scoprire sul set. Lo fai anche tu?
In un certo senso sì, ci sono cose che dico ad alcuni attori e non ad altri, ma ricevono tutti il soggetto del film che è di una trentina di pagine. Mancano solo i dialoghi. A volte mi diverto a cambiare un po' le cose sul set, perché mi piace la spontaneità e questa sparisce se ti ritrovi a girare la stessa scena dieci volte. Quindi se, per esempio, l'attore deve trovare un oggetto, può succedere che io lo metta in un posto diverso, per ritrovare quella naturalezza legata alla vita quotidiana.
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Racconti dal set
A proposito di spontaneità, ho trovato particolarmente potenti le interazioni tra Romain Duris e Laetitia Dosch, ed era interessante vedere un attore forse poco abituato a un metodo come il tuo lavorare con un'attrice che invece avevi già diretto.
Sono d'accordo, e va detto che Romain Duris era molto interessato a questo modo di fare cinema. Gli era piaciuto molto il mio primo film, e quando l'ho incontrato mi ha fatto tantissime domande sulla realizzazione. Era un metodo che lo intrigava. Gli piaceva anche il soggetto, ma era soprattutto il modo in cui avrei girato il film ad attirare la sua attenzione. Secondo me quelle scene funzionano anche per una questione di tempistica, perché quando le abbiamo girate eravamo già alla seconda o terza settimana di riprese, quindi Romain si era già ambientato. Credo che per lui fosse stimolante lavorare in modo diverso, il cinema francese tende ad essere molto scritto: dialogo, campo e controcampo.
Hai girato le scene in ordine cronologico?
Mi sarebbe piaciuto, ma costava troppo. Per girare in ordine cronologico ci vuole un budget di almeno 5-6 milioni di euro. La fabbrica che vedi nel film era a nostra disposizione per cinque giorni, senza la possibilità di tornare in un altro momento. Magari un giorno, con il budget giusto, lo potrò fare. Per ora, in ambito belga, solo i Dardenne possono permetterselo.
L'assenza di una sceneggiatura vera e propria incide su come immagini i personaggi? Avevi in mente Romain Duris prima di incontrarlo?
Non penso mai agli attori mentre lavoro alla struttura del film, anche perché mi piace farmi sorprendere in sede di casting.
Vale anche per Laetitia Dosch, che avevi già diretto nel tuo film precedente?
OK, devo rettificare la mia risposta: c'è un ruolo che ho scritto pensando a una persona specifica, e si tratta appunto di Laetitia Dosch nei panni di Betty. È l'unica volta che l'ho fatto, perché la adoro e volevo lavorare di nuovo con lei. Avrò sempre voglia di lavorare con lei, e anche con Romain.
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Esperienze da festival
La prima mondiale di questo film ha avuto luogo a Cannes, mentre quello precedente debuttò a Locarno. In che modo le due esperienze differiscono?
Soprattutto a livello di copertura mediatica, a Cannes tutti sanno della presenza del tuo film e si interessano al suo destino. Altrove eravamo noi a inseguire la stampa perché parlassero di noi, mentre sulla Croisette vengono tutti da me. Per il mio primo film non mi chiesero nemmeno di apparire in TV in Belgio. Inoltre, all'interno della Semaine de la Critique non eravamo in concorso, ma nella categoria delle proiezioni speciali, il che dà al film un'aura ancora più prestigiosa. L'unica cosa di cui sentivo veramente la mancanza era il pubblico, perché a Cannes vengono quasi esclusivamente gli addetti ai lavori.
A Cannes, quasi in contemporanea con il tuo film, è stato presentato, nel concorso ufficiale, In guerra di Stéphane Brizé, che ha un titolo semanticamente vicino e contenuti in parte simili. Cos'hai pensato di questa coincidenza di programmazione?
Ti dirò, mi ha creato qualche piccolo problema a livello di finanziamenti, perché alcuni che avevano già sostenuto il film di Brizé non vollero dare soldi anche a me. A parte quello, trovo molto sano che ci siano più film su una tematica come quella dei diritti dei lavoratori. Gli artisti descrivono il mondo in cui vivono, e se c'è qualcosa che non va è rassicurante, per certi versi, che se ne parli il più possibile. Abbiamo anche metodi un po' simili, per le scene in fabbrica le comparse erano dei veri operai.
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La questione dello streaming
C'è stata anche la polemica, sempre a Cannes, sul rapporto tra Netflix e il mercato francese. Qual è la tua posizione in merito?
Per me è un falso dibattito, che finirà quando Netflix, come lo fanno già i canali televisivi, contribuirà alla creazione dei film in Francia dando soldi a enti come il CNC. In Belgio lo stanno già facendo. Netflix, a livello francese, deve diventare il nuovo Canal+. Il rifiuto dei film di Netflix nel concorso di Cannes, per me, è una tattica di negoziazione per arrivare a quell'esito.
Se ti chiedessero di girare un film per Netflix, cosa diresti?
Non lo so. Mi piace l'uscita in sala, andare ai festival. Inoltre c'è il problema della mancanza di trasparenza su quante persone vedono i film su Netflix, e c'è il rischio che alcune opere rimangano invisibili. Se fosse un film su commissione potrei anche pensarci, ma in caso contrario no, voglio poter andare in giro con i miei film e incontrare il pubblico.