Recensione The Bridge - Il ponte dei suicidi (2006)

Il documentario annaspa nel voler evitare la volgarità della spettacolarizzazione della morte, ma tutte le sue immagini e le interviste raccolte non riescono mai a raccontare la verità della condizione dei protagonisti, la disperazione o i vuoti che conducono ad un simile gesto.

Le morti degli altri

Presentato alla prima edizione della Festa del cinema di Roma, il documentario di Eric Steel sui tuffi suicidi dal Golden Gate Bridge, il gigantesco ponte di San Francisco avvolto perennemente nella nebbia che ha ospitato negli ultimi anni un numero impressionante di suicidi, arriva nelle sale italiane in un momento in cui la cronaca riporta vari casi di ragazzi che si tolgono la vita, testimoniando tutta quell'insostenibile pesantezza del boccheggiare in una società che non tutela in alcun modo i suoi membri più giovani, vittime dell'arroganza altrui e della loro stessa debolezza. E' impresa quasi impossibile raccontare un suicidio e pur saccheggiando la storia di una persona che sceglie di morire probabilmente non si arriverà mai alla verità. Un tale gesto estremo pretenderebbe più rispetto di quello che di solito si è disposti a concedergli, condannato com'è da chi professa una religione che è sempre più lontana dalla vita reale e dai problemi delle persone. Il cinema si concede stavolta l'occasione di raccontare storie reali sulla scelta di morire (lontanissima però dal diventare un diritto), con la forma privilegiata del documentario, ma sullo schermo finisce, inevitabilmente, con l'apparire soltanto la superficie del problema.

The Bridge - Il ponte dei suicidi è l'ultima frontiera del reality: non si spiano più le vite degli altri, ma le loro morti spettacolari. Il regista americano e la sua troupe hanno piazzato nel 2004 un paio di telecamere a riprendere per un anno, nelle ore diurne, il ponte dei sospiri spezzati, documentando più di venti suicidi e qualche salvataggio o tentativo fallito. Sono state quindi selezionate le immagini più inquietanti, con queste anime torturate nell'attimo prima della decisione fatale e nel momento del tuffo che in quattro secondi portava il loro corpo alla morte, intervallate nel montaggio finale da numerose interviste a familiari, amici e testimoni. Il documentario, eticamente discutibile, annaspa nel voler evitare la volgarità della spettacolarizzazione della morte, ma tutte le sue immagini e le interviste raccolte non riescono mai a raccontare la verità della condizione dei protagonisti, i lori stati d'animo, i segreti inconfessabili, la disperazione o i vuoti che conducono ad un simile gesto. Si dice solo della loro passività o dei problemi psicologici, ma la realtà delle motivazioni sembra risiedere in un altrove che non può essere indagato.

Salvare qualche storia simbolica dalla desolazione dell'oblio non è abbastanza per giustificare un reportage che si arroga il diritto di mostrare un evento così delicato, giustificandosi con l'urgenza di mostrare la realtà e il suo orrore. Le immagini delle passeggiate nervose dei suicidi sul ponte o il loro fulmineo tuffo nella morte non raccontano nulla dei protagonisti, ma danno soltanto un fastidioso senso di nausea, tanto che a tratti sembra di assistere ad uno snuff movie. Ci si sente tutti un po' colpevoli sì, ma i mezzi utilizzati sono scorretti e fanno dubitare della buona fede del progetto.
The Bridge è un documentario ad uso e consumo di chi rimane, quasi un'auto-assoluzione da parte di chi non ha fatto abbastanza, ma prova a mettersi l'animo in pace tessendo le lodi di quelle persone che scelgono di farla finita e che alla fine dei conti risultano sempre "speciali".