Recensione The Door in the Floor (2004)

Interessantissima variazione sul tema "coppia borghese in crisi con arrivo di incomodo terzo estraneo a metterli mette di fronte alla loro essenza", The Door in the Floor mette in scena la rappresentazione, vissuta e messa in scena dagli stessi protagonisti, di un'indefinibile malattia dei sentimenti.

Le molte facce di un amore

Ambientato nella cittadina marina di East Hampton, New York, il film racconta il trascorrere di una particolare estate nella casa del famoso autore di libri per bambini Ted Cole e di sua moglie Marion, di come il loro matrimonio abbia subito un duro colpo a causa di una tragedia, del difficile equilibrio raggiunto dalla loro figlioletta Ruth, e di come un giovane, che Ted ha assunto come assistente, arrivi a dare uno scossone alla loro relazione.

Interessantissima variazione sul tema "coppia borghese in crisi con arrivo di incomodo terzo estraneo a metterli mette di fronte alla loro essenza", The Door in the Floor mette in scena la rappresentazione, vissuta e messa in scena dagli stessi protagonisti, di un'indefinibile malattia dei sentimenti.

Le cause del dolore rimangono sempre sullo sfondo (il racconto della morte dei figli della coppia non arriva che alla fine, quello che importa è il manifestarsi della sofferenza nelle sue dinamiche, non le sue motivazioni) e la famiglia sembra essersi in un certo senso modellata, nella quotidianità, sulla tragedia che la tiene unita.

Ted (Jeff Bridges) sublima il dolore rinchiudendosi nella sua creatività; i disegni dei suoi libri, quasi incubi di bambini, segnale grafico di un'emotività minata. Il suo atteggiamento con le donne, che usa come modelle per i suoi osceni ritratti, serve a mettersi alla prova, quasi a farle confrontare con un lato oscuro (il segno grafico è lo stesso angosciato delle illustrazioni dei suoi libri, malgrado i soggetti siano decisamente più leggeri) femminile che la sua compagna non riesce più a riconoscere, con il quale non riesce a rapportarsi, e dal quale ha finito per essere sopraffatta. Dopo averle smascherate sulla tela e concupite con metodica svogliatezza le abbandona di fronte alla loro nudità, e non solo in senso letterale.

Il personaggio di Marion (Kim Basinger) è invece molto più schematico e tradizionale, nel rappresentare una madre catatonica, incapace di qualsiasi slancio, sia consolatorio che autodistruttivo. L'arrivo del giovane assistente del marito servirà a rimettere in moto le pulsioni materne e sessuali che le permetteranno di rielaborare il lutto e di tornare a porsi in maniera attiva e progettuale di fronte alla sua esistenza.

Il povero Eddie si ritrova catapultato in mezzo a uno psicodramma di cui diventerà inconsciamente deus-ex-machina, emotivamente sfruttato dallo scrittore-padrone e dalla mamma-amante, incapace sulle prime di riconoscere la meschinità dell'uomo che ammira e la distanza che lo separa dalla donna che crede di amare. Un rito di passaggio per la verità un po' cruento e spietato: la sceneggiatura sorvola spietatamente e sembra abbandonarlo al suo destino, come fa anche per la piccola Ruth, che non ha mai conosciuto i fratelli ma che vive circondata dalle loro immagini in un inquietante santuario. Tod Williams mette comunque parecchia carne al fuoco e caricare ancora di più il film di pathos avrebbe finito per risultare stucchevole.

Suggestivo, anche stravagante, certo, ma tutto sommato un'opera prima con molti pochi fronzoli e ben girato, con una bella alternanza tra momenti veramente tragici e sprazzi di commedia qua e là (dovuti più che altro ingombrante, ma gradita, presenza di Bridges). La diligenza e la modestia con cui il materiale drammatico è trattato lo tengono al di qua dei confini dell'eccesso e del ridicolo, confini che, va detto, il regista rischia coraggiosamente più volte di varcare.