Le mille vite di un classico
Ha senso, nel 2005, realizzare una trasposizione cinematografica di un romanzo pubblicato nel 1813 che è già stato adattattato più volte e di cui esistono alemeno due versioni ritenute validissime e molto amate dal pubblico? Per molti la risposta a questa domanda è negativa, e questo ha condizionato in parte la ricezione del nuovo Orgoglio e pregiudizio di Joe Wright. Eppure non si può negare che se il film è riuscito a registrare buoni risultati al box office e a fare la sua parte durante la stagione degli award è stato non solo per i suoi meriti, ma anche grazie alla parzialità del pubblico anglo-sassone nei confronti del capolavoro di Jane Austen.
Nei confronti del romanzo - che, ricordiamo, racconta la nascita, le speranze, le complicazioni e il felice coronamento dell'amore tra le povere ma assennate sorelle Elizabeth e Jane Bennet e due ricchi e affascinanti giovanotti - il film di Wright è fin troppo ossequioso, e la forzata fedeltà della trama causa qualche problema dal punto di vista filmico. Ad esempio, nel romanzo, l'escursione di Lizzy con gli zii nella regione dei laghi serviva a seguire, attraverso la descrizione dei suoi pensieri e dei suoi stati d'animo, il percorso interiore della protagonista, che riesce finelmente a comprendere Darcy quando vede la sua tenuta, Pemberley; nel film, a causa della profonda differenza del medium, la funzione del viaggio rimane gratuita, e l'espressione della crescita di Lizzy è affidata esclusivamente a lunghi primi piani di Keira Knightley. La ventenne English Rose, che ha ottenuto con questa parte la sua prima nomination all'Oscar, sostiene il film in maniera assolutamente dignitosa, ma non ha ancora grande versatilità e di conseguenza le mancano alcune frecce dell'arco di Elizabeth, uno dei personaggi più amati d tutta la narrativa britannica. La Knightley è perfetta nell'esprimere lo sfrontato humor e la vivacità della seconda delle sorelle Bennet, la sua energia e la sua grazia, ma non coglie la precoce saggezza di Lizzy e soprattutto la sua calorosa umanità, la sua generosità, il suo grande affetto nei confronti dell'amica Charlotte ma soprattutto dell'infelice sorella Jane. Complice naturalmente è la sceneggiatura che trascura questo aspetti per concentrarsi sui conversation pieces che, rimossi dall'ambito della sottile e insuperabile prosa austeniana, divengono difficili da seguire e in qualche caso difettano di logica.
Per una sceneggiatura imperfetta, c'è un'apprezzabilissima regia che però, è d'uopo sottolinearlo, deve molto a quella dell'ottima trasposizione austeniana del 1995 Ragione e sentimento. Dello stile di Ang Lee Wright mutua l'eleganza briosa, i movimenti di macchina nelle scene di ballo, l'uso delle musiche (ambito nel quale il lavoro del pisano Dario Marianelli non ha niente da invidiare a quello firmato da Patrick Doyle per Ragione e sentimento) e persino la messa in scena di un'intera sequenza (per chi voglia curiosare, ci riferiamo a quella in cui l'intera famiglia Bennet - Dashwood in Ang Lee - si agita nel tentativo di agghindarsi in pochi secondi per all'arrivo di Bingley - Edward Ferrars in Ang Lee - per poi farsi trovare in perfetta quiete dai visitatori). Non manca qualche elemento di efficace personalizzazione stilistica da parte dell'esordiente Wright: ad esempio la sua attenzione per le mani, l'unica parte del corpo che connette i personaggi in un'epoca così austera, e qualche nota surreale di cui era assolutamente scevro Ragione e sentimento, come la scena in cui Lizzy e Darcy appaiono soli e dolenti durante la danza, o l'incontro nella nebbia mattutina. Il risultato è decisamente piacevole, e volendo perdonare le pecche della sceneggiatura, cui avrebbe giovato una riscrittura e non una semplice revisione da parte di [PEOPLE]Emma Thompson
Movieplayer.it
3.0/5