Ormai lo sappiamo: il secondo capitolo di una trilogia solitamente è quello più cupo e Il signore degli anelli: Le due torri non fa eccezione. Iniziando esattamente dalla fine del primo film con la Compagnia dell'Anello divisa e con alcuni personaggi già caduti, il capitolo centrale della trilogia di Peter Jackson è un lungo viaggio che attraversa i territori più cupi della Terra di Mezzo dove il male è ovunque, potente, e dove le forze del bene sembrano cedere alla disillusione e alla sconfitta. Eppure, dopo tre ore (che diventano quasi quattro nella versione estesa) di battaglie, di fatiche e di prove da affrontare, è anche un film che lascia un improvviso senso di calore. Nel finale, basta un breve monologo di un piccolo hobbit per insegnarci il valore della speranza e ricordarci il potere delle storie.
Un film di divisioni
Al contrario del film precedente, molto lineare e concentrato su un unico gruppo di protagonisti Le due torri, riprendendo il punto da dove eravamo rimasti, è un film tripartito. La struttura del film accentua le divisioni del personaggi stabilendo tre macronarrazioni che si alternano per tutta la durata e che, solo alla fine e solo due su tre, troveranno un punto di convergenza. La prima storyline è dedicata a Merry e Pipino, sfuggiti dagli orchi che li avevano rapiti e accolti da Barbalbero nella foresta di Fangorn. È una narrazione composta per lo più da attese (ma si sa, un consiglio degli Ent richiede il suo tempo) che troverà conclusione con l'attacco e la distruzione della torre di Isengard, il luogo trasformato da Saruman in un'industria di produzione orchi. La seconda storyline segue il trio composto da Aragorn, Legolas e Gimli che, dopo aver ritrovato un rinnovato Gandalf il Bianco, cerca alleanze con gli uomini per difendersi dall'esercito di Mordor che culminerà con la battaglia al Fosso di Helm. Saranno questi personaggi che, alla fine del film, si ritroveranno a Isengard.
Individui fratturati
La terza storyline è dedicata al viaggio verso Mordor di Frodo e Sam con la loro nuova guida, e passato portatore dell'Anello, Gollum. Separati dal resto degli altri personaggi (si rincontreranno solo alla fine di tutto), Frodo e Gollum affrontano un'ulteriore separazione all'interno di loro stessi. In questo film il potere dell'Anello mostra i suoi lati più terribili: in passato Gollum ne fu consumato causandogli internamente la divisione del suo lato più umano e benevolo (Smeagol) con quello più perfido e devoto al male (Gollum). Costretto a portare il pesante fardello, Frodo sta lottando contro questa separazione di sé che sta lentamente avvenendo. La fatica e il peso che l'Anello gli causa iniziano a diventare insostenibili e il richiamo alle forze del male è sempre più forte fin tanto da spingerlo a dubitare persino del fidato amico Sam. In lui è presente un conflitto tra l'avidità, l'egocentrismo, la sete di possesso che è poi il conflitto metaforico di tutta la saga. È curioso notare come, se all'inizio Frodo, dopo una breve lotta, punta il suo pugnale alla gola di Gollum, alla fine del film, prima di accorgersene, lo punta alla gola di Sam (e Peter Jackson è bravissimo a riprendere l'inquadratura raccontando con una semplice immagine il lungo percorso del personaggio).
Quando vince il male
Ciò che unisce le tre storyline è la presenza del male in ogni sua forma, da quella più visibile ed esplicita (gli eserciti schierati, gli orchi cannibali, i lupi mannari) a quella più occulta e nascosta (l'influenza di Grima Vermilinguo su re Théoden, la doppia personalità di Gollum, il crescente malessere di Frodo). Tutto il film è basato sul predominio del male nei confronti del bene, tema reso palese dal titolo del film. Le due torri sono quelle del maligno, quella di Barad-dûr dove alla cima l'occhio di Sauron scruta i territori da conquistare e quella di Isengard, dove Saruman crea l'esercito di orchi distruggendo le foreste nelle vicinanze. Ovviamente non è un male invincibile, si può sconfiggere ma sempre a caro prezzo. Sconfiggendo il Balrog Gandalf diventa Bianco ma non prima di morire come Grigio; gli uomini riescono a vincere la battaglia del Fosso di Helm ma con molte perdite; lo stesso Aragorn sembra morire precipitando da una rupe per poi tornare tra gli uomini; gli Ent fermeranno la distruzione di Saruman, ma senza poter far nulla per le foreste già distrutte. Lo stesso Gollum si renderà conto di non poter più appartenere al mondo benevolo e Frodo sarà una persona decisamente cambiata rispetto all'inizio del viaggio.
Il signore degli anelli: che fine hanno fatto i protagonisti?
A cosa siamo aggrappati
Nonostante le divisioni e le separazioni e nonostante le trame sembrino viaggiare su binari paralleli, è chiaro che tutti i personaggi facciano parte della stessa storia, una dichiarazione che sembra un'ovvietà e che si ripercuote nel mondo esterno alla finzione. È quando accadono gli eventi più tragici che ci accorgiamo che, divisi da lingue, terre e mari, facciamo in realtà parte dello stesso mondo. Ecco che i confini della finzione fantasy si fanno più sfumati fino a cancellarsi del tutto e Il signore degli anelli diventa non solo un kolossal fantasy di grande spettacolo, ma una di quelle opere in grado di porsi fuori dal tempo e abbracciare qualsiasi cultura. Il monologo finale di Sam esplicita il potere delle storie di finzione, le lega alla realtà distruggendo quella barriera che spesso tende a separare i due mondi (quante volte abbiamo sentito la frase: "Sono solo storie" come a voler dire che non hanno alcun collegamento con la realtà, più seria, più importante) e spiega perché ne abbiamo bisogno. Le storie, in definitiva, ci danno dei valori. Nell'appassionarci alle vicende fantastiche di personaggi immaginari ci emozioniamo per loro, lottiamo con loro, crediamo in loro e negli obiettivi che vogliono raggiungere (il famoso elisir del viaggio dell'eroe) e più il male appare onnipresente più la vittoria appare memorabile.
Per un nuovo giorno
Che questo discorso venga pronunciato, nella dimensione narrativa del film, da un piccolo hobbit amante dei libri, cresciuto attraverso le sue letture di racconti fantastici e mai uscito dai confini della Contea, un essere timoroso ed estraneo alla vastità del mondo, inconsapevole della cruda realtà piena di pericoli al di fuori del suo universo circoscritto di felicità, crea un ulteriore identificazione nello spettatore. Per questo, quando Frodo e Sam si domandano se un giorno anche loro faranno parte delle canzoni e delle storie che verranno tramandate alle generazioni successive, ci sentiamo sinceramente commossi. Non tanto per l'affetto che proviamo verso i personaggi, ma più per uno strano legame che unisce i due mondi, quello di finzione e il nostro (e quanto è bello arrivare a parlare di unione dopo un film di separazioni). Abbiamo bisogno di storie quanto gli hobbit, ne riconosciamo i valori come loro e allo stesso modo ne siamo esaltati. Chiusi nelle nostre personali contee tendiamo a nasconderci dai pericoli e dall'oscurità del mondo col timore di andare avanti come Ent che camminano e parlano fuori dal tempo, prossimi all'estinzione. Ecco il vero potere della nostra passione: farci uscire dai nostri confini, dalle nostre comfort zone e obbligarci ad agire diventando, come gli hobbit del film, protagonisti delle grandi storie. Quelle che contano davvero.