"Quando gioco a basket tutto il resto scompare". "È una specie di terapia". "Ci sono momenti in cui ti senti il giocatore più forte del mondo". "A volte devi fare un passo indietro per farne due avanti". A parlare, guardando in macchina, in un montaggio veloce, sono i nuovi protagonisti di quella che vi raccontiamo nella recensione di Last Chance U: Basketball 2, seconda stagione della serie, disponibile su Netflix dal 13 dicembre, che ci mostra il gioco del basket da un altro punto di vista. È il basket universitario, lontano dai riflettori e dai soldi della NBA, ma dove tutti hanno proprio quel sogno: giocare un giorno nel campionato più importante del mondo. Docuserie avvincente come una serie di finzione, dotata di un'umanità unica, nella seconda stagione Last Chance U Basketball si fa ancora più intensa, e ci racconta la vita dei giocatori dopo lo stop per la pandemia. Una vita in cui ricominciare da capo è ancora più dura.
East LA, la Los Angeles che non ci fanno mai vedere al cinema
Siamo a East Los Angeles. La ELAC è un'università pubblica, che permette un'istruzione anche a chi viene da classi meno abbienti. E permette a questi ragazzi anche di giocare a basket: sono gli Huskies, la squadra dell'università. East LA è la Los Angeles meno ricca, quella per nulla scintillante, quella che non ci fanno mai vedere al cinema e in tv. È da qui che partono tanti ragazzi, la cui carriera nel mondo del basket è arrivata a un momento di stallo. Ce la stavano facendo, erano arrivati a giocare in Division 1 (la categoria più importante del basket universitario). Ma nel marzo 2020 si è fermato tutto. E quell'occasione l'hanno persa. Per continuare a sognare, ma anche a guadagnare qualcosa - perché altre possibilità non ce l'hanno -sono tornati a giocare in una squadra di un Junior College. Loro, che erano potenziali giocatori professionisti, si trovano a fare un passo indietro rispetto al punto in cui erano arrivati. Ma come reagiranno a tutto questo?
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Ragazzi in verde, ragazzi al verde
Musica hip-hop, come è naturale per un racconto legato al basket, ma anche grande funky (la magnifica Got to Learn How to Dance della Fatback Band), sono la colonna sonora delle storie di questi ragazzi in verde - la divisa degli Huskies ha questi colori - che sono anche dei ragazzi al verde. La scena in cui vorrebbero mangiare del pesce per cena ma non possono permetterselo ci dice tanto sulla condizione di questi ragazzi, sulla loro motivazione. Su come si possano sentire. Uno di loro, Dez Washington, ha anche un figlio. E vuole farcela anche per lui. È l'unico che era già in quella squadra. Ora è tornato, e gli si chiede, giustamente, di essere un leader.
Il rovescio della medaglia di The Last Dance
Last Chance U: Basketball, anche nella sua seconda stagione, si conferma essere il lato documentaristico e reale di Friday Night Lights, la serie di Peter Berg sul football americano, con il basket al posto del football e dei ragazzi veri al posto dei personaggi scritti e recitati da attori. Last Chance U: Basketball è anche il rovescio della medaglia, il dark side of the moon di The Last Dance. Lì c'era l'uno su mille che ce la fa. Qui ci sono gli altri mille. Che ci provano.
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Coach Mosley come Coach Taylor
E in comune con Friday Night Lights c'è il coach. John Mosley è il contraltare reale del coach Taylor di Kyle Chandler. Più duro di lui, molto più duro, ma con la stessa umanità e lo stesso amore per i ragazzi. Il Covid lo ha toccato molto, e gli ha fatto capire, ancora di più, che i suoi ragazzi hanno bisogno di aiuto. Il suo sfogo nei confronti di un giocatore che non si impegna abbastanza è da antologia del cinema sportivo, ed è migliore di qualsiasi battuta scritta in sceneggiatura. "Io ho una scelta, voi non l'avete. Io ho altre 17 scelte. Tu hai solo una scelta, ed è la mia". Severo ma giusto, come si dice. Mosley è uno che ci tiene ai ragazzi, ci tiene più di loro. E farà di tutto per motivarli. Accanto a lui c'è Robert Robinson, l'allenatore in seconda, sorridente, pacato. Insieme i due giocano al poliziotto buono e al poliziotto cattivo. Una coppia che difficilmente un casting sarebbe riuscito a mettere insieme.
La macchina da presa è a terra
Rispetto a The Last Dance, invece, a livello di regia e inquadrature siamo agli antipodi. Se la docuserie dedicata a Michael Jordan usava - tra le tante - soprattutto le immagini canoniche dell'evento sportivo, con gli incontri ripresi dall'alto, dalle tribune, in Last Chance U: Basketball, la macchina da presa è a terra, sul parquet. È una scelta obbligata, ma allo stesso tempo funzionale al racconto. Obbligata perché, in quei campionati universitari, le palestre non hanno tribune altissime. Ma è soprattutto funzionale perché il senso del film è questo: farci stare al livello dei giocatori, a terra. Stare lì con loro prima di spiccare il volo insieme.
Un documentario che appassiona come un film
Il risultato, ormai lo avrete capito, è che dopo pochi minuti di visione si è già conquistati da questi ragazzi, affezionati a loro. Last Chance U: Basketball 2 colpisce per come un documentario classico - fatto di interviste con i volti in primo piano e pezzi di vita ripresi - riesca ad appassionare come un film, o come una serie di finzione. Il merito è della sapiente costruzione, del lavoro si scrittura e di montaggio, che ci fanno seguire la storia in modo semplice e diretto. Questa seconda stagione è, se possibile, ancora più avvincente della prima. Perché lo stop imposto dalla pandemia, quel fare un passo indietro dei ragazzi, la rende una storia di riscatto ancora più forte. Una storia degna della miglior epica sportiva. "Non voglio giocatori di basket, ma ragazzi disperati" dice dopo una sconfitta coach Mosley. Una frase in cui c'è il senso dello sport. Perché è quella disperazione, quel lottare su ogni pallone, che permette di vincere.
Conclusioni
Nella recensione di Last Chance U: Basketball vi abbiamo parlato di una docuserie avvincente come una serie di finzione, dotata di un'umanità unica. Nella seconda stagione si fa ancora più intensa, e ci racconta la vita dei giocatori dopo lo stop per la pandemia. Una vita in cui ricominciare da capo è ancora più dura: una storia di riscatto perfetta per un racconto di epica sportiva.
Perché ci piace
- Dopo The Last Dance, il format della docuserie si conferma perfetto per raccontare il basket.
- La storia comincia dopo lo stop per la pandemia, ed è ancor più una storia di riscatto.
- La regia riprende l'azione all'altezza dei giocatori, così che sembra di essere in mezzo a loro.
- Un documentario che è avvincente come un film, una perfetta storia di epica sportiva.
Cosa non va
- Non è The Last Dance e a un pubblico interessato solo ai grandi del basket potrebbe non interessare.