Dieci squadre composte da donne e ragazze provenienti da tutto il mondo. Al centro, un torneo di calcio femminile, "combattuto" sui campi amatoriali di una Roma gagliarda e appassionata. La maglia da gioco, che sia quella nativa o del paese d'adozione, diventa quindi responsabilità e orgoglio. Ma chi sono queste donne? Cosa hanno dovuto affrontare prima di arrivare in Italia? Ispirato all'omonimo documentario, Isabel Achaval e Chiara Bondì realizzano una docu-serie in due parti, ovvero Las Leonas - La coppa del mondo, disponibile su RaiPlay e in prima tv su Rai 3 sabato 28 dicembre e sabato 4 gennaio.
Vita, sport, sogni e storie personali. E il linguaggio calcistico che si fonde con quello narrativo. Un'unione perfetta, secondo le registe, che abbiamo intervistato in occasione della messa in onda. "Il calcio è spettacolo, il fattore del campo largo e i movimenti, per loro natura, sono spettacolari. Anche a livello di drammaturgia: il calcio è uno sport di squadra, c'è interazione emotiva. Abbiamo seguito questo campionato anche negli spogliatoi, o in panchina. La competizione è simbolica, ma presente, soprattutto nel contesto romano".
Las Leonas: eroine contemporanee
Le registe, poi, si soffermano sulla genesi di Las Leonas - La coppa del mondo, direttamente tratto dal documentario che avevano portato alle Giornate degli Autori di Venezia 2022. "Matteo Levi, il nostro produttore, si è appassionato. Nel documentario c'era poco tempo, e avevamo lasciato tante storie fuori. C'è una squadra dell'Iran, c'è una squadra russo parlante, c'è una squadra del Brasile, dell'Argentina. A Roma ci sone soprattutto latinoamericane, peruviane... Abbiamo detto: Sarebbe bellissimo ampliare questo campionato. E lì c'è venuta l'idea di fare una coppa del mondo, unendo la realtà romana a quella torinese, anch'essa attiva con il calcio femminile. Tutto è nato dalla necessità di ampliare il racconto, sviluppando di più le storie".
A proposito di storie, sono tante quelle di Las Leonas. Tuttavia, una è particolarmente rilevante, come confida Isabel Achaval: "C'è la storia di Tata, della squadra Brasile, lei è capoverdiana. Una ragazza di 22 anni, che sta crescendo una figlia da sola, vive in una casa protetta. Ha anche vissuto per strada. Non ha niente, non ha lavoro, fa solo delle treccine qua e là. Questa è una una storia molto forte. Lei, come altre, sono delle vere eroine che lavorano e non solo per mantenere loro stesse, i loro figli, ma anche per aiutare la famiglia rimasta nel loro paese d'origine. Sono eroine contemporanee, femministe senza saperlo, fanno tutto senza gli uomini. Ci sono molte altre storie commoventi, però quella di Tata è forte. Lei dice che la nascita di questa bambina l'ha salvata, perché lei si stava perdendo".
L'importanza dell'empatia
Dal documentario alla docu-serie, Las Leonas si basa sulla potenza del racconto dal vero. Ma qual è stato il rapporto tra le protagoniste e la macchina da presa? "Tutte erano a loro agio con la telecamera", spiega le autrici, "Forse perché avevamo un un rapporto con queste donne. Quelle di Roma le conoscevamo bene, meno quelle di Torino, tuttavia avevamo voglia di raccontarle. Volevamo bene a loro. Senza empatia non potevamo fare nulla. Questo ha fatto sentire loro a proprio agio. Se non c'è questo rapporto è più difficile, più macchinoso. Poi chiaro... loro sono bravissime".