Tratto da un ro
manzo di Joyce Carol Oates scritto sotto lo pseudonimo di Rosamond Smith, il nuovo film di François Ozon si apre con un'immagine ardita, vertiginosa e vagamente disturbante: solo quando la camera indietreggia ci rendiamo che ciò che abbiamo visto è normalmente uno spettacolo riservato agli specialisti in ginecologia.Questa incredibile infrazione dell'intimità femminile è l'inizio di un viaggio nella psiche, nell'utero e nel piacere in cui il regista francese ci trascina con la collaborazione della sua splendida musa Marine Vacth, da lui già diretta nel gradevole e altrettanto provocatorio Giovane e bella del 2013, e di una miriade di riferimenti cinefili, da Polanski a Cronenberg passando ovviamente per Alfred Hitchcock.
Triangolo equilatero
Dopo aver spiato l'insondabile della sua Chloé, L'amant double ci annuncia, attraverso un drastico taglio di capelli, un cambiamento o una crisi, e ci porta subito dalle parti di Rosemary's baby trasformando Marine, occhi grandi e lineamenti finissimi, in una nuova Mia Farrow. La venticinquenne Chloé soffre di dolori addominali di origine, si suppone, psicosomatica, e per questo inizia una terapia con un giovane e garbato psicanalista che, senza fare grandi progressi terapeutici, sembra darle sollievo immediato. Presto la terapia è sospesa per dare vita a qualcos'altro, ma Chloé ha la sensazione che il suo nuovo amore le nasconda qualche cosa.
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La ragazza non tarderà a scoprire che ciò che le si nasconde è un fratello gemello, pure psicanalista ma che per il resto è un uomo molto diverso Paul: arrogante, brutale, irresistibile. E ovviamente alla base dell'allontanamento tra i due c'è un trauma tutto da esplorare. È sorprendente come un regista della sensibilità e dell'intelligenza di François Ozon tratti volutamente con superficialità e leggerezza questo soggetto, al punto di darci la sensazione di fare della storia di Chloé una sorta di fantasia maschile sulla donna frigida; d'altro canto, pur essendo gay, il nostro regista e sceneggiatore resta un maschio, e un maschio non particolarmente in sintonia, in questo caso almeno, con le fantasie erotiche femminili, e per di più ignaro del fatto che l'orgasmo per la donna il più delle volte è abbandono e richiede sicurezza e fiducia, non certo un'eccitante e pericolosa trasgressione.
L'avversario recondito
Anche volendo perdonargli la semplificazione e il voyeurismo nello scivolare sulla mente e sul corpo della sua protagonista, il film ha i problemi più grossi nella costruzione di un intreccio che sposa all'idea al centro del romanzo della Oates un altro filo narrativo, un'altra suggestione ancora meno credibile e originale, che oltretutto finisce alla lunga per rendere ozioso e irritante tutto il resto. Il film ha però il pregio di non prendersi sul serio; Jérémie Rénier gestisce con gusto e personalità (a parte qualche momento francamente grottesco) il suo doppio ruolo e Marine Vacth è abbastanza magnetica e professionale da sostenere lo sguardo dello spettatore e le richieste del regista, anche se non le riesce di regalare più dimensioni a un personaggio che avrebbe meritato maggiore attenzione e spessore.
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Oltre che per le sue grazie, il film si lascia guardare anche per la scanzonata cinefilia e l'abbondanza di idee visive che esorcizzano la noia; un po' poco, forse, per la selezione competitiva del Festival di Cannes numero 70.
Movieplayer.it
2.5/5