L'altra metà della storia: Mi ricordo, sì, io mi ricordo

Il regista indiano Ritesh Batra, che nel recente Le nostre anime di notte ha riportato in scena Robert Redford e Jane Fonda, torna a misurarsi con l'adattamento di un romanzo. Questa volta tocca al bestseller Il senso di una fine di Julian Barnes, opera di infinita malinconia sull'implacabile tirannia della memoria.

Nel 2011 Il senso di una fine, il romanzo di Julian Barnes sulla fragilità e la tirannia della memoria, si aggiudica un Man Booker Prize. Qualche tempo dopo la Origin Pictures ne acquista i diritti affidando la sceneggiatura di un adattamento per il grande schermo al giovanissimo Nick Payne ed è da quel momento che l'idea di farne un film diventa sempre più concreta.

L'altra metà della storia: Jim Broadbent in una scena del film
L'altra metà della storia: Jim Broadbent in una scena del film

Manca solo il regista, ma i produttori lo trovano subito dopo aver visto il suo delizioso esordio, The Lunchbox: è l'indiano Ritesh Batra, lo stesso che di recente ha riportato insieme su un set due icone del cinema come Robert Redford e Jane Fonda realizzando per Netflix Le nostre anime di notte. Il risultato è L'altra metà della storia (nella versione originale il titolo è rimasto fedele a quello del libro) che ancora una volta mette il regista nella condizione di dirigere attori dal talento indiscutibile: la marmorea Charlotte Rampling e uno dei più versatili caratteristi inglesi, Jim Broadbent.

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Effetto amarcord

L'altra metà della storia: Charlotte Rampling e Jim Broadbent in un momento del film
L'altra metà della storia: Charlotte Rampling e Jim Broadbent in un momento del film

Il romanzo strutturato su due piani temporali differenti, presente e passato, fa il resto offrendo un materiale ricco di sfumature e suggestioni, foriero di un immaginario tanto caro al cinema: il tempo, la memoria, il sapore del ricordo, la malinconia di ciò che è stato, il confronto implacabile con il presente.
Batra risponde con una regia misurata e molto classica, non si discosta troppo dalle convenzioni e fa appello a tutti i topoi del genere: la voce narrante, il flashback, la lettera, la nostalgia di una giovinezza perduta. La narrazione si lascia seguire senza troppi affanni, ma trova il suo limite in una scarsa empatia e nella mancanza assoluta di una dimensione emotiva, complice forse un doppiaggio italiano che anestetizza sfumature e inclinazioni che solo le voci originali sono in grado di restituire.

L'altra metà della storia: Billy Howle e Freya Mavor in un momento del film
L'altra metà della storia: Billy Howle e Freya Mavor in un momento del film

L'altra metà della storia sintetizza in un'ora e mezza l'altalenante lavorio della memoria di un anziano signore inglese ormai in pensione, Tony Webster (Broadbent). Tony conduce una vita appartata e tranquilla, si divide tra il piccolo negozio di vecchie macchine fotografiche, le lunghe chiacchierate con l'ex moglie e il corso preparto della loro unica figlia che presto diventerà mamma. La lettera di una suo amore di gioventù, Veronica (la Rampling), e la ricerca del diario del suo migliore amico di quegli anni, che qualcuno gli ha lasciato in eredità, sconvolgeranno le sue ordinarie giornate londinesi e lo costringeranno a mettere in discussione tutto quello che pensava di sapere sul suo passato, affranto dai rimpianti e da un profondo senso di colpa.
Non era impresa facile tradurre in immagini quello che sulla carta è un lungo monologo interiore di Tony, che ripercorrere a ritroso un'intera vita fermando momenti, rievocando nomi e riportando a galla frammenti sepolti dalla memoria; Pyne ci riesce abbastanza bene calibrando il tempo del ricordo e quello dell'oggi in un equilibrato gioco di rimandi tra l'ovattata Gran Bretagna dei nostri giorni e quella dal gusto vagamente retrò degli anni '50.

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Il racconto di una vita

L'altra metà della storia: Billy Howle e Joe Alwyn in un momento del film
L'altra metà della storia: Billy Howle e Joe Alwyn in un momento del film

Gli anni dell'università, gli amici, Veronica Ford, bella e sfuggente, la madre di lei Sarah, la sua inconsapevole malizia e quell'estate in cui la vide per la prima volta, e poi quel saluto appena accennato con le mani appoggiate sul grembo alla fine della sua permanenza in casa Ford: immagini ricucite insieme, riadattate e ripescate dal vasto spazio del rimosso.
A fare da guida una voce narrante che ci interpella, si fa delle domande e tira le sue conclusioni: "Quante volte raccontiamo la nostra vita? La adattiamo, la abbelliamo, facciamo tagli ad arte e creiamo una nuova realtà".
Il racconto si ricomporrà lentamente e lo spettatore rimarrà sempre un passo dietro al protagonista nell'attesa che il fine lavoro di cesellamento dei ricordi possa rimettere ogni pezzo al proprio posto e svelare al pubblico gli omissis; così alla fine Tony potrà ben dire che "la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato".

Movieplayer.it

3.0/5