L'afide e la formica, la recensione: Una storia di rinascita e integrazione

La recensione de L'afide e la formica, opera prima di Mario Vitale con Beppe Fiorello nel ruolo del protagonista: una parabola del riscatto attraverso una narrazione del Sud Italia lontana dagli stereotipi.

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L'afide e la formica: Beppe Fiorello e Cristina Parku in una sequenza

"U professuricchiu", così lo chiama qualcuno: professore di poco conto, senza arte né parte, piccolo piccolo. Ma Michele, il protagonista del film d'esordio di Mario Vitale, giovane e promettente regista calabrese, dimostrerà di essere ben altro rispetto all'epiteto con cui viene spesso apostrofato (come leggerete meglio nella recensione de L'afide e la formica). Il film, in diverse sale italiane dal 4 novembre (prodotto da Indaco Film e distribuito da Zenit Distribution) e liberamente ispirato alla pièce teatrale di Saverio Tavano, "La marcia lunga", è una piacevole scoperta. Una storia fuor di cliché rispetto alla rappresentazione del Sud e del crimine, un racconto di integrazione, ricerca di identità e resistenza. Ma L'afide e la formica è soprattutto una storia di liberazione: dai pregiudizi, dai fantasmi di un passato turbolento, dalle mafie che pure strisciano insolenti in una quotidiana pacifica convivenza tra bene e male.

Il riscatto, la ricerca di identità e la metafora sportiva

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L'afide e la formica: Beppe Fiorello durante una scena del film

Mario Vitale, che ha scritto la sceneggiatura insieme allo stesso Tavano, Francesco Governa e Josella Porto, usa la metafora sportiva per raccontare il desiderio di riscatto che anima entrambi i protagonisti del film, l'afide e la formica del titolo, due esseri che traggono beneficio l'uno dall'altro. Fatima ha 16 anni, è nata in Calabria da genitori musulmani, porta il velo perché la sua cultura lo prevede e sua madre Amina glielo impone. È un'adolescente di poche parole in cerca di un'identità e come i suoi coetanei vive i conflitti, le scoperte e l'amore tipici della sua età, anche se un senso di inadeguatezza la condanna a sentirsi perennemente fuori posto, come rivela in una delle battute del film: "Io non lo so chi sono, non so se sono italiana, non so se sono marocchina, so solo che voglio essere come tutti gli altri", dice. Finché un giorno il suo professore di educazione fisica, Michele Scimone, non propone ai suoi studenti di iscriversi alla maratona di Sant'Antonio. Per lei sarà l'occasione del riscatto, per lui, ex corridore solitario, schivo, scorbutico e ombroso, la possibilità di chiudere il cerchio e vendicare un passato irrisolto. Sarà l'inizio di un viaggio che cambierà le loro vite, mentre la corsa li renderà finalmente liberi dalla paura e dalle etichette.

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L'afide e la formica: Beppe Fiorello e Cristina Parku in una scena

Perché "correre vuol dire anche scappare" come recita una frase quasi manifesto di questa storia in cui tutti i protagonisti sono nomadi e scappano da qualcosa: a Fatima lo hanno insegnato i suoi genitori, "prima loro sono scappati dal Marocco per venire qua, poi mio padre è scappato via da noi. Io scappo da mia madre... ma forse scappo solo da me stessa", Michele è in fuga da un passato che gli ha portato via il figlio, ucciso dalla malavita come si capirà più avanti, anche la sua ex moglie prova a correre lontano da quel lutto animata da un bisogno di giustizia rimasto inascoltato, mentre Amina, la madre di Fatima, ci impiegherà un po' prima di imparare a fuggire dall'illusione che suo marito un giorno possa tornare.

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Una storia di fughe e ritorni

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L'afide e la formica: Valentina Lodovini in un primo piano

L'afide e la formica è in qualche modo una storia di fughe e ritorni strutturata attorno al motivo principale della corsa, un film di atmosfere dai contorni noir e una suspense abilmente costruita fotogramma dopo fotogramma; la scrittura sorretta da una regia consapevole lascia sedimentare sul fondo un mistero che solo sul finale troverà compimento.
Non era difficile inciampare in modelli rappresentativi abusati: Vitale invece sa sfidare le convenzioni con scelte registiche non scontate per un esordiente e lascia allo spettatore il compito di rimettere insieme i tasselli del puzzle. C'è un tempo sospeso (una bici che attraversa il ponte della città, le scarpette da corsa legate tra loro dai lacci e lanciate in aria prima di restare appese ai cavi elettrici, un colpo di pistola l'istante prima che venga esploso), c'è la tenerezza di un amore adolescenziale al suo fiorire, c'è la meraviglia di due giovani alle prime schermaglie amorose davanti a un angolo di terra che tutto sommato "non fa così schifo come dicono", c'è la paura perché "chista è gente che spara, gente che ammazza", ci sono gli incubi o le immagini surreali e mortifere che affollano il sonno di Michele.

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L'afide e la formica: Beppe Fiorello e Cristina Parku in una scena del film

Il resto è merito di un cast valido, tutti dai protagonisti ai comprimari al servizio della storia: da Giuseppe Fiorello (Michele) a Cristina Parku (Fatima), Valentina Lodovini, Alessio Praticò, Ettore Signorelli e Nadia Kibout, ognuno è padrone del proprio personaggio, sa dargli voce anche quando si va su un territorio scivoloso come quello di un linguaggio ibrido, che mescola dialetto, regionalismi e italiano. Non si tratta di un film perfetto, alcuni raccordi non sempre convincono, manca una maggiore scrittura psicologica dei personaggi e un approfondimento dell'humus sociale in cui maturano le azioni, ma non per scarsa consapevolezza del linguaggio cinematografico, quanto piuttosto forse per mancanza di mezzi. E, siamo sicuri, saprà trovare il suo pubblico.

Conclusioni

Concludiamo la recensione de L’afide e la formica con la consapevolezza di aver scoperto un nuovo autore. Lo sguardo e le scelte registiche innovative restituiscono la storia di un Sud che ha voglia di rinascere e riscattarsi, una narrazione lontana dai cliché su cui spesso ci si è adagiati. Un film fatto di atmosfere e suggestioni, di strappi e ricuciture che saprà trovare il suo pubblico.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.2/5

Perché ci piace

  • L’uso della metafora sportiva per raccontare una storia di rinascita in un Sud che diventa terra di integrazione e riscatto.
  • Un film di atmosfere fuori dai cliché del genere: da un lato il racconto di un crimine che serpeggia sullo sfondo, dall’altro una storia di ricerca della propria identità.
  • Lo sguardo del regista innovativo e coraggioso.

Cosa non va

  • Alcuni raccordi sono spesso risolti frettolosamente, manca forse un maggiore approfondimento psicologico dei personaggi e dell’humus sociale in cui maturano le azioni.