Recensione Ricky - Una storia d'amore e libertà (2009)

Delicato e grazioso, il film si snoda nella progressiva accettazione che segue lo stupore per la scoperta della "diversità" di Ricky, neonato metà pollo e metà angelo che si diverte a sconvolgere l'esistenza del nucleo familiare volandosene di qua e di là.

La strana storia del bambino che sapeva volare

François Ozon come mai te lo aspetteresti. Il regista di Sotto la sabbia e Gocce d'acqua su pietre roventi cambia decisamente genere cogliendo di sorpresa lo spettatore con una commedia fantastica a cavallo tra i Dardenne e la Disney. E' lo stesso Ozon a citare in conferenza stampa i due estremi che più estremi non si può e il perché è presto detto. Prendete un film dallo stile sobrio e misurato che fotografa la realtà operaia di un sobborgo francese con geometrici long take fissi, una fotografia naturalistica e significanti ellissi visive. A questa solida visione d'autore aggiungete una trovata surreale capace di imprimere una svolta radicale nel plot. Il risultato è Ricky, ultima creatura partorita dalla mente dell'eccentrico Ozon e co-prodotta dall'italiana Teodora Film. Formulare giudizi di merito su quello che a prima vista appare poco più di un semplice divertissement è alquanto arduo. Rispetto alle raffinate pellicole che il francese Ozon ci ha regalato in passato, Ricky è una storia piccola piccola su una madre single proletaria che trova inaspettatamente l'amore. Da un'unione magica, ma anche un po' squallida (considerando che il primo incontro tra Katie e Paco avviene in uno dei bagni dello stabilimento in cui la donna lavora) nasce un bambino a cui presto iniziano a spuntare due belle alette che gli permettono di volare. Il plot di Ricky sta tutto qua. Delicato e grazioso, il film si snoda nella progressiva accettazione che segue lo stupore per la scoperta della "diversità" di Ricky, neonato metà pollo e metà angelo che si diverte a sconvolgere l'esistenza del nucleo familiare volandosene di qua e di là fino a sparire definitivamente come un canarino a cui è stata imprudentemente aperta la gabbia durante le pulizie.

Domande sul senso profondo del film (se ve n'è uno), sulle simbologie di riferimento presenti nel finale onirico o sulla giustificazione di alcune discutibili scelte registiche ve ne sarebbero molte, ma la sensazione è che un film talmente leggero da volarsene subito via non possa appesantirsi di sovrastrutture significanti. Parabola antiabortista? Pellicola a tesi sull'accettazione della diversità? Analisi sociologica di un nucleo familiare disfunzionale? O più semplicemente commedia fantastica fine a se stessa? Ricky è tutto questo e altro ancora. E' un'opera informe e sfuggente, impossibile da decifrare e questo per una precisa volontà del regista che lascia intenzionalmente ampio spazio di manovra allo spettatore coinvolgendolo nel gioco dell'interpretazione. Il film si si apre, infatti, con un drammatico appello della madre di Ricky che non riesce più a gestire da sola un lavoro a tempo pieno e due figli di cui uno appena nato. Un salto temporale all'indietro ci mostra le origini della nascita di Ricky, mentre nell'ultima parte la linearità temporale si rarefa del tutto cedendo il posto alla dimensione simbolica e onirica. Un vezzo autoriale non supportato da esigenze narrative di sorta se non quella di mescolare ancora di più le carte in tavola.
La fragilità strutturale del film viene in parte compensata dalla bravura del cast capitanato da una straordinaria Alexandra Lamy che riesce a farsi carico del ruolo di protagonista senza mostrare cedimenti anche in scene piuttosto complesse, e apparentemente prive di legami con il contesto principale, come il bagno purificatore nel laghetto che precede l'apparizione del fuggiasco Ricky. La Lamy, affiancata da una straordinaria piccola attrice in erba (Mélusine Mayance) e dal sornione Sergi Lopez nei panni del paziente e comprensivo papà di Ricky, è uno dei pilastri del film di Ozon. Novella Francis McDormand del cinema francese, l'attrice rappresenta non solo il fulcro attorno al quale prendono le mosse gli straordinari eventi narrati, ma con le sue apparizioni antitetiche in apertura del film, dove in preda alla disperazione prova a dare in affido il proprio bambino, e in chiusura, nuovamente e felicemente incinta, si fa garante del messaggio che traspare dal sottotesto della pellicola. Immerso in una struttura ciclica come la vita degli esseri umani e come la speranza che rinasce anche dopo le più grandi atrocità, il volto sorridente di Alexandra Lamy che segue con lo sguardo la sua piccola creatura volante sancisce il rinnovato connubio tra uomo e natura e lascia trapelare la possibilità di un futuro comune per i genitori e la sorella di Ricky, forse stavolta come una vera famiglia.

Movieplayer.it

3.0/5