Recensione L'altra verità (2010)

Un thriller atipico dalla confezione non certo esaltante, ma comunque funzionale al tipo di storia che sta raccontando: una storia cruda, violenta, dove non vi è alcuna speranza e nessun vincitore.

La strada della morte

Di ritorno a Cannes dopo appena dodici mesi, il nuovo Ken Loach non potrebbe essere più diverso da Il mio amico Eric: dove il precedente era divertente e ottimista, questo L'altra verità, presentato in concorso al 63° Festival francese, è un thriller teso e senza speranza. Il titolo originale del film, Route Irish, richiama quella che è considerata la strada più pericolosa del mondo, ovvero quella che congiunge l'aereoporto di Baghdad alla cosidetta Green Zone, la zona Internazionale della città con le ambasciate e le basi militari.
E' proprio su questa strada che perde la vita, in seguito ad una attentato, Frankie, un mercenario che lavora per una società privata inglese, ed è così che la storia ha inizio.


Fergus, infatti, il protagonista della pellicola interpretato dal convincente Mark Womack, non riesce a a darsi pace per la morte del suo collega e migliore amico e si sente colpevole per l'accaduto, visto che era stato proprio lui a suggerirgli di prendere quel lavoro in Iraq: egli stesso d'altronde avrebbe dovuto far parte della medesima missione, se non fosse stato per un piccolo incidente in una discoteca di Liverpool che gli ha causato qualche problemino con la giustizia e di conseguenza l'impossibilità di lasciare la Gran Bretagna. Nel momento in cui tra le mani gli viene recapitato, come una delle ultime volontà dell'amico morto, un telefono contenente un misterioso video amatoriale, Fergus decide di indagare con l'aiuto della vedova di Frankie, la bella Rachel.

L'impossibilità di lasciare il proprio paese e recarsi personalmente in Iraq rendono l'indagine più complessa, ed è per questo che il thriller si presenta ancora più atipico, soprattutto se considerato il regista, ed è per questo che la sceneggiatura del fedele Paul Laverty si deve affidare molto spesso a flashback, conversazione telefoniche, videochat e filmati amatoriali. Il risultato è un film dalla confezione non certo esaltante, ma comunque funzionale al tipo di storia che sta raccontando: una storia cruda, violenta, dove non vi è alcuna speranza e nessun vincitore. Loach ha sempre condannato la violenza in ogni sua forma, ed è per questo che la vendetta di Fergus non è appagante e nemmeno catartica, è semplicemente necessaria.

Movieplayer.it

3.0/5