Recensione Da quando Otar è partito (2003)

La regista ritrae una famiglia di donne, costrette a cavarsela da sole, che hanno sempre mantenuto la loro dignità e soprattutto la loro forza e voglia di vivere, in tutte le situazioni.

La storia di Eka, Marianna, Ada e... Otar

Siamo nella città di Tbilissi, nella Georgia post-sovietica. Tre donne si trovano in un caffè: la nonna anziana, la figlia di mezza età e la giovane nipote; la nonna sta gustando un bel pezzo di torta al cioccolato mentre la figlia cerca di assaggiarne un po'... le due a questo punto si danno una di quelle occhiatacce dalla quale si capisce tutto della loro storia. Vivono evidentemente insieme, gli uomini o sono morti o partiti (come l'Otar del titolo, appunto) e appartengono a tre generazioni diverse, che hanno segnato per sempre il loro modo di essere, legato al momento storico - politico in cui hanno vissuto.

Eka, la nonna, di circa novant'anni, ancora in piene forze fisiche e intellettuali, appartiene alla generazione cresciuta con il mito di Stalin, che ancora parla dei "nemici imperialisti" e che crede che tutto si sia fermato con la caduta dell'impero sovietico, la figlia Marina ha vissuto la crisi del regime e il grande cambiamento di un paese trovatosi improvvisamente allo sbaraglio, in cui anche le poche certezze sono scomparse e ci si è dovuti inventare un'altra vita, soprattutto dal punto di vista professionale e infine la nipote Ada, una ragazza maturata negli anni della caduta dell'unione sovietica e dunque nella confusione più totale, senza alcun punto di riferimento.
Questo è il panorama in cui si ambienta il film Da quando Otar è partito, della regista francese Julie Bertuccelli al suo primo lungometraggio, che però vanta una carriera di successo come documentarista e aiuto regista di autori come Otar Iosseliani, Bertrand Tavernier e Krzysztof Kieslowski.
É proprio l'eleganza della regia di Iosseliani a influenzare la nostra Bertuccelli, che decide di girare il suo primo film nella terra natia del suo mentore, la Georgia, e indirettamente di dedicargli anche il titolo (Da quando Otar è partito).
L'autrice non si soffermerà particolarmente sulle questioni politiche e sociali che coinvolgono il paese, tanto meno cercherà di dare una sua interpretazione sugli eventi che hanno portato la nazione ad essere ancora un luogo di miseria e d'infelicità, perché sin dall'inizio della pellicola dimostra di essere interessata a ritrarre una famiglia di donne, costrette a cavarsela da sole, che hanno sempre mantenuto la loro dignità e soprattutto la loro forza e voglia di vivere, in tutte le situazioni.
Otar è l'unico uomo importante del film, attorno a cui ruota tutta la vicenda e che determina le scelte di vita delle tre donne ma, paradossalmente, è assente dall'azione. Egli esiste inizialmente sotto forma di voce e poi di lettere. E' il figlio di Eka ed il fratello di Marina, emigrato in Francia per cercare un lavoro e quindi dei soldi da mandare a casa, che non tornerà mai più, perché morirà in un incidente di lavoro.

La nonna Eka lo considera l'eroe di famiglia, l'unico uomo fondamentale nella sua vita e per questo manda quasi tutti i giorni sua nipote Ada alla posta per vedere se è arrivata una lettera dal figlio, possibilmente con dei soldi. La vita delle donne è in funzione della lettura di queste lettere che provengono dall'Europa "capitalista" e da chi ha saputo approfittare di un'antica tradizione di famiglia, ovvero la passione per la lingua e la cultura francese (in casa infatti c'è un'ampia collezione di libri d'epoca francesi e le tre donne spesso parlano in francese fra di loro).
Quando la sorella e la nipote vengono a sapere dell'improvvisa morte del loro "eroe", non riescono a dire la verità alla povera Eka, lasciandole credere per quasi tutto il film che il figlio esista ancora e scrivendo al posto suo le tanto attese lettere da Parigi.
Da Quando Otar è partito racconta dunque dei sotterfugi a cui dovranno ricorrere Marina e Ada per risparmiare la brutta notizia alla donna anziana e la fantasia con cui riusciranno a tenere idealmente una persona in vita.
Il risultato è un'opera molto delicata dedicata alla figura di tre donne forti, ognuna con un carattere particolare, che con le sue sfumature riesce a commuovere uno spettatore intenerito dall'amore che queste si dimostrano a vicenda, anche nei litigi tipici di chi è costretto a vivere sotto lo stesso tetto nonostante la grande differenza di età.
La macchina da presa segue con discrezione e garbo tutti gli stati d'animo di Eka, Marianna e Ada, regalando dei momenti di grandi intensità, soprattutto grazie alla bravura di Esther Gorintin (Eka), che ha deciso di intraprendere la carriera di attrice alla tenera età di ottantacinque anni.
Si riconosce nell'attenzione che la regista ha per le espressioni anche minime e apparentemente insignificanti nei visi delle tre protagoniste, il suo passato di documentarista e attenta osservatrice dell'animo umano, che è anche il punto di forza di questo film estremamente sincero, perché si sente una particolare sensibilità nel cogliere gli stati d'animo di chi inevitabilmente soffre e ha sofferto, senza per questo scadere nel pietismo o nella lacrima facile ma, anzi, proponendo dei personaggi incredibilmente forti e orgogliosi, che ci stupiscono per la loro ostinazione, come accade per il bellissimo finale.
Da quando Otar é partito è dunque un film in cui non si può non riconoscere uno sguardo sensibile tutto al femminile che, proprio per questo, riesce a descrivere con convinzione la vita di tre donne di un paese in grandi difficoltà e lasciare lo spettatore alla fine di 102 minuti passati in compagnia di tre grandi personaggi, rapito da tanta delicatezza e sincerità impressa sulla pellicola.