"Potete dare un addio alle vostre rose!" "Non diciamo sciocchezze: sarebbe lo stesso come dare addio all'Inghilterra! Ci saranno sempre rose..."
Ci sono film la cui importanza è legata, prima ancora che agli eventuali meriti artistici o al successo commerciale, alla loro capacità di cogliere lo Zeitgeist e di esprimere lo spirito collettivo di una nazione, soprattutto in momenti particolarmente fatidici per la società. In tal senso, uno fra i casi in assoluto più emblematici è costituito da La signora Miniver: una pellicola conosciuta in prevalenza dai cultori del cinema classico, ma che ottant'anni fa, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, ebbe un impatto di proporzioni impressionanti, diventando un formidabile strumento di propaganda per gli Alleati. Infatti, mentre il continente europeo era caduto sotto il controllo delle potenze dell'Asse, il Regno Unito era sempre più isolato e gli Stati Uniti subivano l'umiliazione di Pearl Harbor, il personaggio interpretato da Greer Garson veniva eletto a simboleggiare il coraggio e la resilienza della gente comune contro la minaccia del nazifascismo.
La vita quotidiana della signora Miniver
Rievocare un'opera quale La signora Miniver, che debuttava nelle sale americane il 22 luglio 1942, a tempo record e su pressione del Presidente Franklin Delano Roosevelt, significa pertanto anche analizzare il peso culturale e politico del cinema - e nello specifico del cinema hollywoodiano - nel contesto della storia del ventesimo secolo. Ispirato alla figura creata nel 1937 dallo scrittore Jan Struther per una rubrica sul Times e al centro del libro omonimo del 1939, il progetto de La signora Miniver viene messo in cantiere dalla Metro-Goldwyn-Mayer e dal produttore Sidney Franklin nel 1941, ma non senza qualche diffidenza: gli Stati Uniti sono ancora divisi fra interventisti e neutralisti e c'è chi, appena l'anno prima, aveva bollato Charlie Chaplin come guerrafondaio per aver deriso la Germania nazista ne Il grande dittatore. La guerra che si sta combattendo in Europa, insomma, in America è ancora un argomento delicato.
Va specificato che quello di William Wyler non è propriamente un film bellico, quanto piuttosto una descrizione della vita quotidiana in tempo di guerra attraverso le vicende della piccola comunità di Belham, un fittizio villaggio nella campagna londinese. Per suscitare un maggior coinvolgimento nel pubblico, Wyler sa che per prima cosa deve spingerlo ad affezionarsi alla suddetta comunità e ai Miniver, una famiglia della medio-alta borghesia composta dall'architetto Clem (Walter Pidgeon), da sua moglie Kay (Greer Garson) e dai loro tre figli; da qui la scelta di costruire un lungo antefatto in cui rappresentare la 'normalità' dei personaggi e la placida atmosfera della cittadina. Per i primi trenta minuti, ambientati nell'estate del 1939, gli unici conflitti del film consistono dunque nel prezzo esoso del bizzarro cappello acquistato da Kay Miniver, timorosa della reazione del marito, e dai preparativi per un'esposizione floreale patrocinata dall'aristocratica Lady Beldon (la caratterista hitchcockiana May Whitty).
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La "battaglia d'Inghilterra" secondo William Wyler
William Wyler, fra i massimi maestri - mai troppo ricordati - del cinema classico, crea fin da subito un efficace equilibrio fra i diversi registri: qualche pennellata da commedia brillante, l'attenzione ai dettagli nel dipingere la routine domestica dei coniugi Miniver e il soffuso romanticismo nel rapporto fra il loro primogenito Vincent (Richard Ney) e la graziosa Carol (Teresa Wright), nipote di Lady Beldon. Dopodiché, dalla notizia dell'invasione della Polonia, ecco irrompere il dramma: l'angoscia per la sorte di Vincent, arruolatosi nella Royal Air France, e per gli altri uomini partiti per la Francia; il drastico cambiamento delle abitudini (il coprifuoco, l'oscuramento delle abitazioni) e la tensione quando, nel corso della "battaglia d'Inghilterra", il paese viene sottoposto ai raid della Luftwaffe; ma pure la consapevolezza di dover far fronte all'inquietudine e continuare a vivere, non rinunciando ad ammirare la bellezza delle rose, perfino sotto le bombe.
La signora Miniver sarà non a caso il capostipite di una serie di pellicole volte a raccontare la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista della popolazione civile, spesso privilegiando una prospettiva femminile, come Da quando te ne andasti di John Cromwell (1944), con Claudette Colbert e Jennifer Jones, e I migliori anni della nostra vita (1946), capolavoro dello stesso Wyler, con Fredric March e Myrna Loy. E nel film del 1942, a incarnare la forza d'animo del popolo britannico è una delle attrici di punta della MGM, la trentasettenne Greer Garson, originaria dell'Essex e comparsa per la prima volta sullo schermo soltanto nel 1939, in Addio, Mr. Chips!. Da subito molto apprezzata per la sua abilità nel coniugare eleganza, dolcezza e determinazione, Greer Garson si è appena guadagnata una seconda candidatura all'Oscar per Fiori nella polvere, in cui recitava proprio con Walter Pidgeon: un'accoppiata subito replicata da Wyler, che farà prontamente leva sull'alchimia fra i due protagonisti.
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Hollywood e la guerra del popolo
Attento a smussare gli spunti di critica sociale (l'invettiva del giovane Vincent contro i privilegi dell'upper class) in favore di un diffuso senso di solidarietà, a cui aderirà infine pure la ricca e snob Lady Beldon, La signora Miniver è ancora in fase di riprese quando l'aviazione giapponese attacca a sorpresa la base di Pearl Harbor, accelerando l'entrata in guerra degli Stati Uniti. Quello che era nato come un omaggio alla Gran Bretagna si trasforma così in un film che, in maniera indiretta, parla anche dell'America: il discorso finale pronunciato dal sacerdote in una chiesa in rovine, un appello all'unità del popolo contro la tirannia e le dittature, acquisisce una risonanza ancora più ampia e profonda, perché nel 1942 ormai la guerra è davvero 'mondiale'. E gli spettatori accorrono in massa nelle sale: La signora Miniver sarà di gran lunga il film più visto dell'anno, con oltre trenta milioni di biglietti venduti solo negli USA.
Da lì a pochi mesi, l'entusiasmo collettivo sfocerà in un inevitabile trionfo all'edizione degli Academy Award del 1942, dominata da due titoli patriottici quali Ribalta di gloria di Michael Curtiz e, appunto, La signora Miniver, che si aggiudica sei premi Oscar: miglior film, miglior regia, miglior attrice per Greer Garson, miglior attrice supporter per Teresa Wright, miglior sceneggiatura e miglior fotografia. Sebbene oggi non goda della stessa considerazione di altri classici degli anni Quaranta (e tralasciando il poco fortunato sequel del 1950, Addio signora Miniver), quella di William Wyler resta tuttavia un'opera fondamentale per comprendere, fra pregi e limiti, la funzione aggregatrice dell'industria hollywoodiana nel periodo più cupo del Novecento, qui narrato mentre è ancora in pieno divenire.