Recensione Mary (2005)

Film ambiguo e discutibile, a volte esasperante e di difficile metabolizzazione, ma anche un film che non lascia certo indifferenti.

La redenzione secondo Ferrara

Abel Ferrara indaga ancora una volta ed inequivocabilmente sui temi della colpa e della redenzione, della morale e del cristianesimo, scegliendo come strumento la storia della lavorazione di un film revisionista su Maria Maddalena. I paralleli trascorsi, dubbi e dissidi, dei protagonisti del film e di un presentatore televisivo sono la materia di questa riflessione in continuo bilico tra la dimensione soggettiva e quella ontologica del vivere.

Dotato di meno forza e carica eversiva di Il cattivo tenente (film a cui è impossibile non fare riferimento durante la visione di Mary) ma di intatta potenza registica nel suo andamento e nelle sue esplosioni, la nuova opera di Ferrara è avvolta in un'atmosfera funerea e pesantissima in piena aderenza con la materia narrata. Un regista ostentatamente deciso a sconvolgere il pensiero dominante sulla figura di Gesù, la sua attrice improvvisamente colta da misticismo spirituale, trasferitasi a Gerusalemme e i drammi quotidiani piccolo borghesi di un giornalista nero che cura una trasmissione religiosa di successo in televisione, alimentano le controverse riflessioni del regista americano, che attacca la macchina da presa ai volti dei suoi personaggi, isolandone il contesto ed enfatizzandone le ossessioni.

Film ambiguo e discutibile, a volte esasperante e di difficile metabolizzazione. L'empatia come la serenità e la rassicurazione, non sono decisamente i primi interessi di Ferrara, che mette forse troppo se stesso nel suo cinema. Ma questo è a quanto, prendere o lasciare. Sicuramente non la migliore opera del regista, né niente di nuovo o di illuminante, ma neanche un film che lascia indifferenti e che si possa bocciare a cuor leggero.