Il mostro di Frankenstein è tante cose, è tutti ed è nessuno. Nato come aberrante assembramento di cadaveri, la creatura partorita dagli incubi notturni di Mary Shelley ha sempre confermato la sua natura ibrida e scomposta, incarnando una complessità andata oltre il semplice abominio di corpi altrui. È stato il simbolo supremo di un'epoca affascinata e impaurita dal progresso, l'icona imponente del triste destino riservato ai diversi, il tragico precursore degli striscianti zombie che verranno. Una figura mitica, mistica e persino retorica. Sì, perché nel corso di oltre 200 anni Frankenstein è diventato anche una specie di metonimia, quella figura retorica attraverso cui siamo soliti scambiare l'autore con la sua creazione. Così per secoli abbiamo chiamato il mostro con il nome dell'inventore, scambiato la causa con la conseguenza.
Abbiamo erroneamente dato ad un essere (in)animato una personalità che non gli appartiene o, forse, semplicemente affibbiato la mostruosità ad un individuo dotato di visionaria follia. Ecco, Victor - La storia segreta del Dottor Frankenstein muove i suoi passi all'interno di questo paradosso; prende atto di un'adozione impropria da parte dell'immaginario collettivo e intende giustificarla. Il risultato è bizzarro e zoppicante, perché alterna ottimi spunti a risultati molto più modesti. Il film di Paul McGuigan conferma il destino senza pace del mostro, continuamente ridestato da nuovi esperimenti cinematografici (I, Frankenstein) e televisivi (Penny Dreadful), ed è ammirevole nel voler raccontare il mito sotto una nuova luce, salvo poi finire, come lo stesso Frankenstein, in balia dei suoi stessi intenti.
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Se questo è un mostro
Al centro della scena c'è quindi l'uomo, la volontà di insinuarsi sottopelle nelle motivazioni e nelle zone d'ombra capaci di rendere una persona più mostruosa del mostruoso. Per una volta l'abominevole essere fa da sfondo, da lontano miraggio, perché Victor - La storia segreta del Dottor Frankenstein si sofferma sul rapporto umano tra il visionario inventore e Igor, personaggio assente nel romanzo di Shelley e forgiato dal cinema come spalla deforme, contraddistinta da una vistosa gobba. Questa volta Igor è un ragazzo cresciuto nello squallore opprimente di un circo, giovane freak costretto a strisciare nel fango della Londra vittoriana ma non per questo arresosi ad un'esistenza mediocre. Nel suo angolo di mondo Igor nutre una talentuosa passione per l'anatomia, per quella stessa scienza che fa di lui uno scherzo della natura. Poi l'incontro con Victor, casuale e folgorante, che dà inizio al rapporto fondamentale di un'opera che ci tiene a decostruire lo stereotipo di Igor. Non più uno sgherro sottomesso, ma un amico; non solo un assistente devoto, ma una persona capace di gratitudine e ammirazione.
Non che questo privi l'amicizia tra i due di squilibri e difetti. Infatti, il Victor di un esagitato James McAvoy cade nella contraddizione di fare del bene concesso un ricatto quasi involontario, della salvezza regalata un vincolo possessivo. Questa attitudine umana, al di là della troppa ovvia motivazione che spinge il dottore a creare la vita dopo la morte, è senza dubbio l'aspetto più intrigante e curato di un'opera volenterosa quanto confusa. Il caos nasce dalla scelta maldestra di dare fiato ad altri temi e sentimenti. Se l'amore ci appare svilito dalla banalità, il contrasto tra la fiducia nella scienza e la fede nella fede è più che bistrattato da dialoghi scarni e personaggi troppo sopra le righe. Il meglio, quindi, resta lì tra Victor e Igor, nelle pieghe di una stima reciproca, affascinante e pericolosa.
Un assemblato di generi
A metà strada tra l'adorazione burtoniana per i freak (Daniel Radcliffe ci appare inzialmente come una brutta copia di Edward mani di forbice) e la scoppiettante versione pop di Sherlock Holmes in salsa Guy Ritchie, McGuigan (autore dell'apprezzato Slevin - Patto criminale) conferma una passione per un dinamismo registico molto gradevole, agevolato da una scenografia immersiva. L'atmosfera livida e gotica ci tuffa nei fetidi vicoli di una Londra mai davvero lussuosa, dove i circhi sono squallidi e gli ospedali decadenti, ma questo sfondo si limita a fare da cornice, senza riuscire a raccontare meglio il contesto sociale in cui si muovono i nostri. Victor - La storia segreta del Dottor Frankenstein alterna la frivolezza dell'azione ai dilemmi fantascientifici, salvo poi proiettarsi verso derive drammatiche.
Per questo il genere che sembra meglio definirlo è forse lo steampunk, da sempre affine alla convivenza tra elementi stranianti e dissonanti. Considerando la sfortunata tradizione cinematografica di un genere poco esplorato sul grande schermo (La leggenda degli uomini straordinari, Van Helsing), questo sembra persino un timido passo avanti, legittimato dal desiderio di fornire un nuovo punto di vista su un mito quasi logoro. Ha così origine un film che ben si specchia nell'ostinato tentativo di Frankenstein di mettere insieme i pezzi di qualcos'altro per dare vita ad un capolavoro mai riuscito.
Movieplayer.it
2.5/5