Cos'è che può essere più forte e chiassoso del rumore delle bombe? La verità che si nasconde nelle foto di una celebre fotoreporter? O forse il silenzio che ci può essere tra un padre e figlio che non riescono più a parlarsi, a capirsi, a raccontare i propri segreti? Segreti di famiglia, esordio in lingua inglese del norvegese Joachim Trier è un film pacato e silenzioso, a tratti forse perfino freddo, ma certamente non vuoto: è un film narrativamente frammentato, un film che utilizza flashback, lettere e voice over per raccontare in modo non lineare il vuoto lasciato da una morte ormai lontana nel tempo, ma mai veramente accettata o superata da nessuno dei protagonisti.
Sono passati infatti tre anni dalla morte di Isabelle, fotografa di guerra conosciuta in tutto il mondo; il figlio minore Conrad è convinto che si sia trattato di un banale incidente stradale, ma solo perché il padre Gene e il fratello maggiore Jonah gli hanno nascosto a lungo la verità. Fino a quando, in occasione di una mostra delle sue opere, un collega giornalista decide di scrivere un articolo sul suo ricordo di Isabelle e del suo suicidio.
Così vicini, così lontani
In seguito alla presentazione al Festival di Cannes, dove il film è concorso, sono stati in tanti coloro che hanno proposto un paragone scomodo con Gente comune di Robert Redford, altro film in cui una famiglia cerca di superare un lutto, ma a nostro parere si tratta di un paragone fuorviante (sebbene comunque il regista non voglia in nessun modo nasconderne l'ispirazione, come si evince dall'omaggio presente nel nome del giovane protagonista), perché il film di Trier è molto più ambizioso e, proprio per questo, anche meno riuscito.
Louder Than Bombs è sì un melodramma, ma è anche un film che a livello emotivo sceglie di rimanere sempre in superficie: i suoi protagonisti raramente danno sfogo alle loro emozioni (e, quando la fanno, non sono mai attraverso dialoghi ad essere rivelatori ma immagini e ricordi) e così quella distanza tra figli e genitori o anche tra i due coniugi è in realtà sempre specchio della distanza che sembrano prendere da loro stessi, dai loro veri sentimenti. In questo senso il tema portante della fotografia è essenziale per capire non tanto il personaggio di Isabelle che ne aveva fatto un'arte, ma coloro che facevano parte della sua famiglia e che avevano imparato ad osservare il mondo e la vita attraverso delle immagini statiche, spesso manipolabili e quindi poco sincere.
Il coraggio di vivere
Non è un caso infatti che non siano i due adulti, interpretati da due attori non esattamente loquaci o esplosivi come Gabriel Byrne e Jesse Eisenberg, ma il giovane e talentuoso esordiente Devin Druid a scuotere e cambiare la situazione, a distruggere gli equilibri e ad uscire da questo limbo in cui tutta la famiglia era rimasta bloccata. E ci riesce non andando a cercare le foto e i ricordi della madre ormai lontana nel tempo (una misurata e malinconica Isabelle Huppert), ma attraverso gli istinti del più tipico dell'adolescente: l'amore impossibile per la più popolare delle cheerleader, il videogioco che gli permette di creare un avatar online, la scrittura di uno stream of consciousness che viene rappresentato da Trier come immagini sì, ma costantemente in movimento, frenetiche e spesso sfuggenti come può essere la vita vera. Quella vita che non puoi mai fermare o semplicemente ridurre ad un'immagine statica, ad un unico ricordo.
Movieplayer.it
3.5/5