Pablo Trapero torna a Venezia a sedici anni di distanza da Mondo Grua, con cui vinse la Settimana della critica, e ad undici anni da Familia rodante, presentato nella sezioni Orizzonti nel 2004. Nel frattempo il regista argentino è diventato un habituè del Festival di Cannes e uno dei più apprezzati filmaker sudamericani dell'ultimo decennio, ma non è mai riuscito a convincere la giuria internazionale e a vincere un premio importante. Troppo presto per sapere se qualcosa cambierà con questo El clan, in lizza per il Leone d'oro a Venezia 72, ma di certo si tratta di un'opera che difficilmente può lasciare indifferenti, a partire dal soggetto.
Ispirato a fatti realmente accaduti all'inizio degli anni '80 nella cittadina di San Isidro, provincia di Buenos Aires, il film racconta la storia dell'ormai famigerata famiglia Puccio, un vero e proprio clan criminale che rapiva uomini e donne, ne chiedeva il riscatto e poi eliminava le sue vittime per non lasciare alcuna traccia. A capo dell'organizzazione c'era Arquímedes (Guillermo Francella), ma a collaborare era in realtà tutta la famiglia, con i due figli Alejandro (Juan Pedro Lanzani) e Maguila (Gastón Cocchiarale) che si occupavano della scelta delle vittime e del rapimento vero e proprio, mentre le donne di casa si "limitavano" ad accettare, anzi a far finta di non sapere nulla dell'operazione, anche quando i rapiti venivano sistemati nella loro stessa abitazione, spesso con abbondanza di urla e pianti.
La casa degli orrori
L'abitazione e la famiglia Puccio sono il vero cuore del film, perché sebbene i protagonisti siano soprattutto il capofamiglia e il primogenito ed i contrasti tra i due, Trapero non sembra avere molti dubbi sulla partecipazioni (diretta o indiretta) di tutti coloro che abitavano questa casa prigione. Eppure nessuno nel vicinato avrebbe potuto immaginare che dietro questa famiglia normale e tenuta in grande considerazione, Alejandro è addirittura una star locale del rugby oltre che proprietario di un negozio di articoli sportivi, potessero nascondersi dei criminali così brutali.
Ma d'altronde queste orribili vicende sono solo la punta dell'iceberg di una dittatura che in pochi anni ha portato a quasi 30000 in poch il conteggio dei desaparecidos, ed il regista è abile a far diventare questa storia di una famiglia, di un clan, la Storia di un intero paese che non ha ancora dimenticato e forse riuscirà a farlo. In questo senso i vari inserti politici e storici non servono soltanto a dare il necessario contesto alla storia ma ne sono proprio lo specchio, perché il clan che racconta Trapero non è certamente solo quello dei Puccio ma dell'intera dittatura militare che permise ai Puccio e a tanti altri di agire assolutamente indisturbati.
La vita è un pianosequenza
Da un punto di vista stilistico El Clan è un film di Trapero in tutto e per tutto: teso e compatto dal punto di vista narrativo e caratterizzato da interpretazioni convincenti, e quella regia coraggiosa, a tratti quasi visionaria, che ha sempre caratterizzato le opere precedenti. In questo film mancano i fedeli attori Ricardo Darín e Martina Gusman (moglie del regista, e produttrice dei suoi primi film), ma c'è comunque spazio per i piano sequenza che sono da sempre un marchio del giovane filmaker.
Per ogni rapimento viene utilizzata questa tecnica, con il risultato di aumentare la tensione e rendere ancora più coinvolgenti alcuni dei momenti più significativi della storia, ma è nel finale che Trapero mostra tutto il suo talento dietro la macchina da presa con una sequenza che lascia senza fiato e che chiude nel migliore dei modi una pellicola che si inserisce nel filone dei (migliori) crime movie con prepotenza e classe. Non è la prima volta che il regista chiude in modo così esplosivo (il finale di Carancho è ancora più sconvolgente), ma speriamo che questa possa essere quella buona per far conoscere al mondo intero il suo cinem
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4.0/5