Recensione La notte dei morti viventi (1968)

Uno dei film più allegorici sull'America ai tempi della guerra vietnamita. Il capostipite di una saga destinata a riscuotere un successo planetario a livello cinematografico e a consacrare Romero nell'Olimpo dei maestri del brivido.

La prima notte d'orrore

A causa di una pioggia di detriti radioattivi provenienti da Venere, i morti resuscitano in ogni parte del pianeta, affollando le strade in preda ad unico desiderio: nutrirsi di carne umana. Come una vera epidemia che si rispetti, il morso degli esseri costituisce il mezzo del contagio. In un cimitero Barbara e suoi fratello vengono improvvisamente assaliti. Sfuggita all'assalto, la donna riesce a rifugiarsi in una casa dove trova altre persone barricate all'interno. Dopo una tremenda notte di attesa, il rifugio viene preso di mira dai morti ambulanti che progressivamente mietono vittime intorno a loro. Ben, un uomo di colore, ce la farà a sopravvivere. Almeno fino all'alba del giorno dopo, quando scambiato per mostro da alcuni cecchini della Contea di Pitsburgh non finisce per ritrovarsi una bella pallottola pianta nel mezzo della fronte.

Girato in poco più di sei mesi a partire da uno script realizzato da George A. Romero congiuntamente con John Russo, La notte dei morti viventi trae spunto dal romanzo orrorifico di Richard Matheson, Io sono leggenda. Sostanziali i cambiamenti narrativi: nell'opera letteraria il protagonista si trovava assediato da un'orda di vampiri mentre nel film la donna protagonista doveva guardarsi inizialmente dall'ondata di un gruppo di alieni. Ma ben presto Romero decise di voltare pagina rispetto all'iniziale imprinting fantascientifico, concentrandosi progressivamente sull'idea di un male epidemico capace di mettere l'umanità in lotta contro il suo reale spettro: l'umanità che ha cessato di esistere e che è andata a popolare il mondo del crepuscolo. Il risultato finale è stato un capolavoro indiscusso del cinema horror di tutti i tempi.

La notte dei morti viventi confermò il talento straordinario di George Romero, capace alla fine degli anni Sessanta di coniugare con forte sagacia e grande abilità due scenari profondamente diversi tra loro: quello reale della politica e quello orripilante dell'invenzione cinematografica. Il risultato finale costituì una delle più feroci (e riuscite) allegorie dell'America ai tempi della guerra in Vietnam. Angoscia, cannibalismo, bestialità: è questa l'immagine del conflitto umano riflesso dal risveglio dei morti e dal loro insano appetito. L'uomo che mangia l'uomo, l'essere che combatte se stesso in una lotta che non conosce né vincitori, né vinti. Tutto si risolve nell'annullamento dell'altro, tutto si adegua ad una logica assurda che porta al totale annientamento. L'orrore provato da un massacro che si poteva evitare finisce così con l'assumere le sembianze di un'assurdità non troppo differente: il ritorno dei morti, l'attacco degli zombie come profetica apocalisse che sancisce la fine del mondo. Conobbe due "seguiti" ufficiali firmati dallo stesso regista (Zombi e Il giorno degli zombi), un seguito non ufficiale con Il ritorno dei morti viventi di Dan O'Bannon, un remake francamente da dimenticare di Tom Savini ed una serie praticamente infinita di imitazioni.