Recensione Nemmeno il destino (2004)

Un'operazione interessante quella di Daniele Gaglianone, ricca di spunti originali e anche di molti difetti, ma causati dalla passione e dalla volontà di uscire dal seminato di uno stile troppo rassicurante a cui sembrano ormai affezionate certe opere italiane.

La periferia dell'anima

E' davvero un'operazione interessante quella di Daniele Gaglianone, ricca di spunti originali e anche di molti difetti, ma causati dalla passione e dalla volontà di uscire dal seminato di uno stile troppo rassicurante a cui sembrano ormai affezionate certe opere italiane. La storia, tratta dal romanzo di Gianfranco Bettin, è quella di tre ragazzi, amici inseparabili ma che la crudeltà della vita e la degradazione della periferia inevitabilmente dividerà.
Alessandro (Mauro Cordella) è figlio di una madre vittima di traumi e ormai non più stabile mentalmente, Ferdi (Fabrizio Nicastro) ha il padre alcolizzato e ammalato gravemente dopo anni di fabbrica, Toni (Giuseppe Sanna) ha solo la voglia di andarsene, cosa che farà ben presto sparendo dal film.

Ale e Ferdi vivono in un mondo decadente popolato solo da cantieri e strutture demolite, proprio come le loro famiglie, un ambiente totalmente indifferente alla richiesta di soluzioni, quelle risposte che li potrebbero salvare da un destino già segnato. A scuola ci vanno ma solo per onor di firma, sono sempre isolati dagli altri, alle prese con problemi che gli altri nemmeno si immaginano. Il fuoco della rivolta brucia, ma gli sbocchi sono difficili e i possibili esiti tragici.
Gaglianone cerca di descrivere con passione e partecipazione il furore senza veri obiettivi di tanti giovani d'oggi, ma nella prima parte pecca di superficialità e indugia troppo sugli stereotipi. Le risposte smozzicate e ironiche a un'interrogazione scolastica, i giri in motorino senza casco, qualche rutto in libertà e bevute in compagnia sono un po' poco per esprimere la rabbia interiore. Ma già si intravedono alcuni aspetti interessanti che poi sfocieranno in una seconda parte decisamente convincente e molto più sentita e interiore, nella quale affiora una buona analisi psicologica. Per farlo Gaglianone usa una fotografia iper contrastata, un montaggio nervoso, voci fuori campo e alcuni passaggi onirici ben riusciti, insomma uno stile non banale e perfettamente aderente all'evolversi della narrazione e alla disperata ricerca di un impossibile serenità.