Recensione La pantera rosa (2006)

Steve Martin resta uno dei volti più "plastici" della commedia statunitense, ma l'anonimità della regia e una sceneggiatura troppo esile fanno mancare un reale collante in grado di unire una serie di gag tutte uguali.

La pantera invecchiata

Quando ci si trova di fronte a un film come questo, che aspira a rinverdire i fasti di quello che è stato un vero e proprio mito cinematografico, è ovvio che un discorso critico vada affrontato con più cautela del solito. Il paragone con il modello ispiratore è infatti inevitabile, anche quando si faccia di tutto per metterlo in secondo piano: anche il più "asettico" e distaccato dei critici, infatti, non vedrà solo Steve Martin sullo schermo, ma finirà inevitabilmente per vedere il protagonista affiancato dal fantasma di Peter Sellers, inconscio quanto inevitabile termine di paragone. E così, per quanto ci si sforzi, sarà impossibile giudicare il film di Shawn Levy solo come opera a sé stante, senza andare anche solo per un attimo con la mente ai capolavori di Blake Edwards, ideatore del mito e insuperato maestro della commedia brillante degli anni '60.

Distaccarsi del tutto è impossibile, dunque. Eppure, provando a fare una forzatura per avvicinarsi il più possibile a questo obiettivo, si può con buona approssimazione immaginare quale sarebbe stato il giudizio su questo La pantera rosa versione 2006 senza conoscere gli originali: quella di Levy è, per dirla senza giri di parole, una commedia di grana grossa, che anche laddove riesce a strappare qualche risata non nasconde mai l'anonimità del suo svolgimento e la fondamentale pochezza della sua sostanza. La trama, slegata dalla cronologia della serie originale, prende le mosse da un omicidio compiuto in uno stadio, di cui è vittima l'allenatore della nazionale francese di calcio: l'uomo viene colpito da una freccia avvelenata durante i festeggiamenti per la vittoria della sua squadra, e l'anello che ha al dito, che contiene il preziosissimo gioiello chiamato Pantera Rosa, viene trafugato. Il caso viene affidato all'ispettore capo Dreyfus, che lo "gira" al pasticcione Clouseau sperando di poter intervenire al momento giusto e arrestare l'assassino, ottenendo così la medaglia d'onore e la gloria mediatica. Nella sua investigazione destinata, sulla carta, al fallimento, Clouseau viene affiancato dall'abile agente Gilbert Ponton, che lo accompagnerà in un groviglio di indizi che porterà i due fino a New York.

La non riuscita di questo remake è dovuta non tanto all'interpretazione di Steve Martin, che resta comunque uno dei volti più prestanti e "plastici" della commedia statunitense, espressione di una comicità fisica che sulla carta era ideale per riportare sullo schermo il noto ispettore: il problema del film è invece di fondo, e sta proprio in una realizzazione carente, nell'anonimità della regia e in una sceneggiatura davvero troppo esile, che fa mancare un reale collante in grado di unire una serie di gag tutte uguali, che vengono troppo presto a noia. Certo, Martin ce la mette tutta e sicuramente è tra i pochi ad uscire "assolti" da questa pretenziosa quanto inutile operazione, insieme a un Jean Reno tutto d'un pezzo il cui personaggio non viene valorizzato a sufficienza dalla sceneggiatura: ma aveva davvero senso andare a scomodare un'icona del cinema per mettere in scena quella che è, di fatto, una versione internazionale degli ultimi episodi di Fantozzi?

Lo ripetiamo, probabilmente il giudizio sarebbe stato appena più benevolo se il film non avesse avuto quel titolo. Ma in fondo, l'aver voluto forzatamente resuscitare un personaggio che stava bene nei manuali di storia del cinema, legato com'era al periodo in cui ha visto la luce (e già il tentativo fallito dello stesso Edwards insieme a Roberto Benigni, nel loro Il figlio della Pantera Rosa del 1993, avrebbe dovuto far suonare un campanello d'allarme), è un fattore aggravante, che fa meritare al film una bocciatura piena. Purtroppo, però, il buon senso non sembra abitare di casa negli studios hollywoodiani, e un inopportuno sequel è stato già annunciato, tanto per sfruttare l'onda lunga dello sterile gusto nostalgico che rende possibile operazioni come queste.

Movieplayer.it

2.0/5