Nell'introdurre la nostra recensione de La Padrina, può essere utile specificare come il film di Jean-Paul Salomé, a dispetto del carattere 'farsesco' della locandina, non possa rientrare a pieno diritto nel genere nella commedia, per quanto lo stile non lo renda neppure un crime drama tout court. La pellicola in questione è piuttosto un ibrido indefinito, sintetizzato in maniera molto più efficace dal poster statunitense: quest'ultimo è dominato infatti dai tratti stilizzati di un primissimo piano della sua protagonista, l'inconfondibile Isabelle Huppert, che con sguardo enigmatico, labbra rosso porpora e sigaretta sospesa fra le dita (un'immagine quasi almodóvariana) restituisce un senso di misteriosa suggestione, forse più rispondente a ciò che lo spettatore dovrebbe attendersi.
Isabelle Huppert, narcotrafficante per caso
Del resto, se c'è un'attrice che riesce a incarnare l'ambiguità e il mistero con una nonchalance a dir poco impressionante, questa è senz'altro Isabelle Huppert; che a sessantasette anni, la sua età all'uscita del film (approdato con notevole successo in Francia nel settembre 2020, fra un'ondata pandemica e l'altra), si cala con credibilità inappuntabile nei panni di una collaboratrice della polizia parigina, con una coppia di figlie ventenni, una madre anziana e malata e più di qualche difficoltà a far quadrare i conti di famiglia. Emblematico pertanto il nome della donna, Patience Portefeux, che la pazienza la esercita sia quando deve contenere le bizze della madre (Liliane Rovère), degente in una casa di cura, sia quando siede in silenzio in una stazione di polizia, con le cuffie sulle orecchie, per tradurre dall'arabo al francese le intercettazioni effettuate dalla squadra antidroga.
Ma dalla pazienza resiliente di chi si sforza di tenere in piedi un'esistenza dall'equilibrio non così solido, Patience decide di passare all'azione tutto d'un tratto, nel momento in cui capta una conversazione inattesa: quella tra Afid (Yasin Houicha), un ragazzo marocchino sospettato di essere coinvolto nella rete del narcotraffico, e sua madre Kadidja (Farida Ouchani), che casualmente è l'infermiera della madre di Patience. L'impulso altruistico di proteggere Kadidja e suo figlio spinge così la donna a mentire alla polizia, a boicottare dall'interno l'indagine e, conseguenza più estrema di tutte, a dover trovare il modo per smaltire un copioso carico di hashish: ecco dunque la repentina svolta alla Breaking Bad e l'inizio, per Patience, di un'insospettabile "doppia vita" come nuova boss del narcotraffico, con tanto di look 'esotico' a base di hijab e larghi occhiali scuri per celare le proprie sembianze.
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Il fascino discreto del crimine
Jean-Paul Salomé, che adatta il romanzo La Daronne di Hannelore Cayre insieme all'autrice, imposta il film secondo un taglio naturalistico, per poi far seguire alla svolta criminale di Patience qualche lieve oscillazione di tono. La materia narrativa potrebbe prestarsi del resto a una commedia farsesca, o anche a spunti da commedia nera, ma nessuna di queste strade viene percorsa da La Padrina: l'approccio, invece, si mantiene sempre su binari realistici, appena increspati da qualche pennellata sopra le righe (il bizzarro look di Patience nella sua versione da narcotrafficante) o da alcune parentesi d'azione e di suspense, come i pedinamenti della polizia o le incursioni della protagonista nel sottobosco della criminalità. In un racconto senza troppi sussulti, dunque, la principale ragion d'essere risulta ovviamente il carisma che Isabelle Huppert conferisce per osmosi alla sua dimessa antieroina, capace di ingannare quegli stessi poliziotti con i quali collabora giorno dopo giorno, ma con una pacata consapevolezza agli antipodi rispetto al delirio d'onnipotenza raggiunto dal suo 'omologo' Walter White.
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Conclusioni
Ed è il talento della Huppert, non a caso, a dare linfa vitale a un’opera non del tutto convincente sotto il profilo della gestione dell’intreccio e dello sviluppo dei personaggi, con una galleria di comprimari piuttosto appannati e fuori fuoco. Jean-Paul Salomé si affida quasi del tutto alla star di Elle per costruire il fascino della sua Patience, con quell’indefinibile amalgama fra rassegnazione, malinconia (il ricordo della morte del marito) e improvvisa ambizione; e come sottolineato nella nostra recensione de La Padrina, a volte un’attrice di tale calibro è già di per sé un motivo sufficiente alla visione, a dispetto dei limiti del film intorno a lei.
Perché ci piace
- Isabelle Huppert, alla quale spetta il compito di sostenere l’intero film con il suo magnetismo.
- Un racconto che, nonostante le improvvise svolte della trama, mantiene un approccio equilibrato e realistico.
Cosa non va
- Un equilibrio che tuttavia si rivela il maggior limite di un film che, nel voler evitare i rischi, non risulta mai davvero memorabile.