Recensione La banda (2007)

Un piccolo, dolcissimo film colmo di humour e malinconia, che incede sulla snellezza di uno script essenziale ed agile eppur profondo intorno al quale attori magnifici intessono una straripante umanità.

La musica, per caso

Arriva la banda, ma non ci sono applausi ad attenderla, non ci sono gli strepiti eccitati dei più piccoli, non ci sono sorrisi: perché la piccola banda della polizia di Alessandria d'Egitto è approdata per errore a Betah Tikva, un villaggio sperduto nel deserto che non ospita alcun centro culturale arabo che li abbia invitati a suonare. "Qui non c'è nessuna cultura, né araba né israeliana" dice la bella ristoratrice Dina agli otto spaesati musicisti nelle loro divise color carta da zucchero. E non c'è un autobus per tornare indietro, non fino al giorno dopo.
Dina accetterà moneta egiziana per sfamare i derelitti, e s'industrierà per trovare loro un posto dove trascorrere la notte. Incuriosita dal direttore della banda, il colonnello Tewfiq (che invece, almeno inizialmente, è infastidito e oltraggiato dalla sua fiera carnalità), lo porterà con sé per cercare di sciogliere il ghiaccio del suo dignitoso riserbo. Il gesto di Dina rende possibili incontri inconsueti nella calda notte di Betah Tikva, confessioni sorprendenti, elementari eppure indimenticabili esperienze, impalpabili scambi in una lingua franca che permette di colmare, insieme alla musica e soltanto per poche ore, le distanze: l'inglese, la lingua di un popolo così strano e diverso, la lingua di un paese lontano, diventa il ponte di comunicazione tra questi vicini/nemici.

Il debutto alla regia di Eran Kolirin, La banda, è un piccolo, dolcissimo film colmo di humour e malinconia, che incede sulla snellezza di uno script essenziale ed agile eppur profondo intorno al quale attori magnifici intessono una straripante umanità. Il cuore e l'anima di questo viaggio di novanta minuti oltre la diffidenza, la ritrosia e la solitudine si chiama Sasson Gabai, blasonato attore di Tel Aviv che qui, nei panni di Tewfiq, recita in arabo e interpreta un personaggio buffo e immensamente tragico nel suo orgoglioso isolamento, nel suo amore per la musica, nella sua credibile, quotidiana desolazione. Notevole, al suo fianco, anche Ronit Elkabetz, una Dina che ha nella voce e nel corpo tutto lo struggimento, la complessità e la sensualità della musica mediorientale.

Ai loro brillanti duetti Kolirin alterna immagini e scene con protagonisti gli altri musicisti e gli abitanti del paese, con la banda che ad un tempo spezza la monotonia e crea imbarazzi e dischiude spiragli di sincerità e compassione. La gloriosa banda della polizia di Alessandria, in procinto di essere decommissionata per mancanza di fondi, per il trentacinquenne regista e sceneggiatore è un sentimento gentile che ci siamo lasciati alle spalle, un'illusione di apertura all'altro che porteremo con noi anche se, come dice Kolirin nelle belle note di regia, "abbiamo scambiato il vero amore con i rapporti fugaci di una notte, l'arte con il commercio e abbiamo dimenticato il legame tra gli esseri umani e la magia della conversazione, perché la nostra unica preoccupazione era quanto grande fosse la fetta della torta su cui potevamo mettere le mani".
Ma quello che abbiamo dimenticato, se lo vogliamo, non è perduto per sempre, è ancora alla nostra portata. Non lasciamo che scivoli via.

Movieplayer.it

3.0/5