Recensione The Final Destination 3D (2009)

La Morte, da sempre il vero serial killer di queste sfigatissime storie, viene somministrata in 'pillole' che appaiono come uno slegato susseguirsi di cortometraggi splatter, in cui a scatenare incidenti spaventosi è sempre qualcosa di minuscolo. Soffi di vento, autocombustioni e vibrazioni riescono a scatenare un vero e proprio inferno.

La morte non può attendere, neanche in 3D

Dopo aver fatto una dignitosa figura al timone di Final Destination 2, David R. Ellis torna ad occuparsi di morti ineluttabili nel quarto (e purtroppo non ultimo) capitolo del franchise targato New Line Cinema interamente realizzato in 3D dal titolo The Final Destination. Budget corposo (circa 40 milioni di dollari) e un incasso Usa di oltre 66 milioni, per raccontare una nuova sequela di decessi rocamboleschi annunciata dalle tremende premonizioni del protagonista.

La caratterizzazione dei personaggi e l'interpretazione degli attori, al contrario dei primi due capitoli, risulta non pervenuta, la sceneggiatura sfiora più volte la parodia e fa scivolare questo quarto episodio dal teen-thriller-horror dritto verso lo splatter demenziale più spinto. Non c'è alcun barlume di trama ovviamente, la storia non ha intreccio alcuno e nasce e muore (anch'essa, ahimè) nel medesimo modo e nel medesimo luogo senza offrire sussulti o colpi di scena. A riservare qualche piccola piacevole sorpresa per lo spettatore resta il 3D, assai ben utilizzato lungo tutti i condensati e sincopati 82 minuti di film, unica attrattiva di quello che altrimenti sarebbe stato un film da ripudiare ancor prima di entrare in sala.

Visivamente straordinaria e spettacolare la sequenza iniziale dell'incidente d'auto che coinvolge piloti, macchine da corsa e lo sfortunatissimo pubblico pagante, ambientata in un pericolante circuito del campionato Nascar. Pneumatici che piombano sulla gente come massi impazziti a 200 km all'ora mozzando teste e corpi con una violenza inaudita, bulloni e ferraglie che si conficcano dove fa più male, pezzi di cemento armato che schiacciano corpi senza pietà, con braccia, gambe e budella che volano ovunque. Da qui in poi la Morte, da sempre il vero serial killer di queste sfigatissime storie, viene somministrata in 'pillole' che appaiono come uno slegato susseguirsi di cortometraggi splatter in cui a scatenare incidenti spaventosi è sempre qualcosa di minuscolo. Soffi di vento, autocombustioni e vibrazioni riescono a scatenare un vero e proprio inferno senza impegnare troppo il cervello, limitandosi ad un intrattenimento dei più tamarri mai visti che riuscirà a soddisfare unicamente gli appassionati della serie e in fan dell'horror allegorico dotati di stomaci imperturbabili.
Oltre gli effetti speciali resta ben poco: il ritmo aiuta, la breve durata anche, qualche scena sfiziosa rallegra qui e là, come la sequenza del disastro annunciato ambientata in un centro commerciale all'interno di un cinema 3D. Sullo schermo viene proiettato un action dal titolo Love Lays Dying, interpretabile in una miriade di modi diversi, tutti efficaci nel legare indissolubilmente l'amore alla morte che di lì a poco invaderà la sala.
Nessuno può sfuggire, nè prima, nè dopo, nè mai. Il come non è importante, il quando un po' di più, ma se è scritto che devi morire non puoi cambiare gli eventi, il massimo della proroga è di qualche giorno perchè la morte è l'unica cosa che non può attendere. Prima o poi arriva per tutti, non si scappa, e in ogni fotogramma di questi quattro popcorn film - nati da un'idea brillante di Jeffrey Riddick e James Wong (sceneggiatore e regista del primo Final Destination) concepita per un episodio mai realizzato di X-Files - il memo è lo stesso e recita "ricordatevi che presto o tardi dovrete morire". Per sdrammatizzare un po' vogliamo citare il grande Troisi, che alla perentoria esclamazione rispose inconfondibilmente: "sì sì, mo me lo segno, non vi preoccupate".

Movieplayer.it

2.0/5