Un film sulla vita, sull'imprevedibilità e l'importanza delle scelte. Ma La mia seconda volta di Alberto Gelpi è soprattutto un racconto di formazione. Come leggerete in questa recensione di La mia seconda volta questo film è ispirato alla storia vera di Giorgia Benusiglio, che nel 1998 a 17 anni rischiò di morire per una pasticca di ecstay, e si inserisce nel filone del cinema per ragazzi con scopi educativi e pedagogici.
Questo film è uno di quei casi in cui l'intrattenimento diventa viatico per l'educazione dei più giovani: qui l'intento è dichiarato da una serie di scelte narrative che culmineranno nelle immagini reali della protagonista di questa storia, impegnata a diffondere tra gli adolescenti la sua battaglia contro le droghe. Un monito, un cinema dal contenuto etico e impegnato, le cui nobili intenzioni non bastano però a compensare alcune banalità e una narrazione, che come spesso accade in questi casi, non riesce a fuggire una quasi connaturata tendenza alla leziosità.
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Una trama sul classico viaggio di formazione
Costume che incombe soprattutto sulla prima parte di La mia seconda volta, quella in cui la trama del film si sofferma sulla soffocante vita di provincia di Giorgia (Mariachiara Di Mitri): diciotto anni, creativa, un talento quasi innato nel realizzare gioielli con materiale da riciclo. Muore dalla voglia di finire la quinta liceo artistico e trasferirsi a Roma; chi invece in quella piccola comunità ha trovato un rifugio per studiare all'Accademia di Belle Arti, è Ludovica (Aurora Ruffino), ventitré anni, un passato in rehab e il sogno di diventare scenografa.
Il loro incontro, tramite il fratello di Giorgia, Davide (Simone Riccioni), cambierà le sorti di tutti mettendoli davanti all'imprevedibilità del destino e alla consapevolezza di essere vasi comunicanti, perché ogni scelta ha le sue conseguenze. Amori, amicizie inattese, la passione per l'arte, il coraggio di ricomporre i pezzi, una carovana di circensi sulle rive d'un lago: sono le tappe fondamentali di questo viaggio verso l'età adulta, che in un secondo momento cercherà di diventare meno affettato e accomodante, mentre la voce fuori campo guiderà più naturalmente lo spettatore verso la fine del film.
Un cast di giovani attori
Come le regole del genere impongono, ricorrono le classiche categorizzazioni di buoni e cattivi, arricchite questa volta di sfumature che spesso sottraggono i personaggi di La mia seconda volta, e le situazioni che li hanno per protagonisti, al semplice e puro manicheismo. Non mancano momenti didascalici o melensi, di cui sono una sintesi emblematica le tirate filosofiche della professoressa interpretata dalla sempre straordinaria Paola Sotgiu (che abbiamo imparato a conoscere nella serie Neflix, Suburra): "Non dobbiamo cancellare il nostro passato, anche quando è doloroso, dobbiamo passare oltre portandolo con noi perché è questo che rende unici e bellissimi.
Le cicatrici rappresentano la storia che si fa carne e da loro può nascere una bellezza ancora più grande", dirà davanti a una platea attonita di studenti.
Gli attori, tutti giovanissimi, fanno del loro meglio per risultare credibili, una naturalezza che crescerà insieme al film. La regia rimane ancorata a una grammatica abbastanza convenzionale, a eccezione delle scene oniriche, dove Alberto Gelpi sembra voglia osare quanto basta per riportare in vita un racconto stilisticamente dimenticabile.
Movieplayer.it
2.5/5