C'era una volta il film di Pif, quel La mafia uccide solo d'estate che è arrivato nelle sale tre anni fa raccontandoci in tono ironico e paradossale una stagione drammatica del nostro paese e della Sicilia, quel periodo sanguinoso che dagli anni '70 si estende fino ai '90. Un film che aveva raccolto un riscontro positivo e che di recente ha fatto il salto verso il piccolo schermo, diventando una serie prodotta da Wildside e Rai Fiction, mandata in onda da Rai 1 a partire dal 21 Novembre e che ci è stata raccontata al recente Roma Fiction Fest dai suoi protagonisti... Pif escluso.
È infatti stato il grande assente dell'incontro tenuto nell'ambito della manifestazione romana dedicata alla fiction, bloccato da impegno lavorativo non prorogabile ed improvviso: l'opportunità di realizzare delle riprese non ripetibili in altra occasione. Ci ha tenuto comunque a mandare il suo saluto al pubblico del RFF 2016, lasciando la parola ai suoi colleghi, "a quelli che realizzano materialmente la serie" che nasce dal suo film e per la quale si è limitato a fare un lavoro di scrittura, riservandosi il ruolo di voce narrante, quella di Salvatore adulto, il piccolo della famiglia Giammaresi di cui vengono raccontate le vicende.
Dal grande al piccolo schermo
Espandere una storia come quella di Pif nei dodici episodi di una stagione televisiva, raccolti in sei prime serate, non è operazione semplice. Bisogna stravolgere, ampliare, approfondire, ed è quello che Stefano Bises e Michele Astori hanno fatto: "abbiamo raccolto l'intuizione di Pif," ha spiegato Bises, "di raccontare la Mafia in modo dissacrante, ma abbiamo cambiato tutto, costruendo la nostra storia", analizzando vari modi in cui la criminalità organizzata influenza le vite quotidiane delle persone. Parlando, per esempio, di invalidità e di altri problemi "perché la Mafia non è solo appalti." Una libertà confermata al regista Luca Ribuoli che ha spiegato che "Pif ci ha lasciati campo libero, ci ha tenuto a portare questo discorso in TV per mostrarlo ad un pubblico più ampio. Pif ha approvato il cast, ma non ci sono state interferenze." Non per questo l'operazione è stata semplice e immediata: "La cosa più difficile è stata di trovare una cifra stilistica autonoma che riuscisse ad avere un respiro così lungo," ha spiegato il regista che ha aggiunto, "fino al giorno prima di girare ho avuto dei dubbi su quello che stavamo per fare... ma alla fine ci siamo riusciti!"
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I volti della fiction
La stessa libertà è stata assicurata anche sul casting, a cominciare da un Claudio Gioè che "ci è sembrato un volto perfetto per questa storia", come ha dichiarato Francesco Vedovati. E lui non poteva non esserci: "Non ho mai avuto dubbi sulla necessità di fare questo tipo di storia," ha spiegato Gioè, "un film in costume ambientato a Palermo con la libertà data da una chiave ironica nel racconto." E la sua presenza è stata una gioia per i colleghi presenti: "Quando ho fatto il provino ero già felice, perché sapevo che c'era Claudio e mi faceva piacere lavorare con lui e Luca" ha raccontato Valentina D'Agostino che interpreta Patrizia, un personaggio non presente nel film di Pif. "È stato un po' un salto nel vuoto," ha spiegato infatti, "ma quando ho letto gli script sono stata felicissima, perché raccontare da palermitana quello che è stato in quegli anni è stato un valore aggiunto."
Lo stesso orgoglio è condiviso dai colleghi presenti, a cominciare da Angela Curri che parla di "script meravigliosi" e che è qui alla sua prima esperienza in un ruolo importante. "Mi sono appoggiata molto ai miei colleghi" ha raccontato la Curri, "tra tutti noi c'è stato un rapporto bellissimo e penso che l'atmosfera che c'era sul set traspaia anche nella serie." Fa loro eco il regista Luca Ribuoli: "è stato bello lavorare a Palermo e con Palermitani e mi ha colpito vederli emozionati nel corso delle riprese di questa serie." Un aspetto che ha dato maggior profondità e senso della realtà a quello che ci viene raccontato. "Quello su cui mi sono concentrato molto in questa produzione," ha spiegato ancora Ribuoli, "è la mia famiglia: persone semplici coinvolte in questo tipo di problemi. E se la serie appare attuale è perché questi temi non li abbiamo ancora superati."
L'approccio alla politica e la realtà
Arrivare a poter raccontare la criminalità organizzata come ne La mafia uccide solo d'estate è importante, ma non scontato. "Io e Claudio abbiamo fatto Il capo dei capi, io stesso ho lavorato a Gomorra, e penso che se si può raccontare la mafia così è perché è stato fatto anche in altro modo" ha spiegato Bises. "Se ne può ridere a distanza, dopo che il fenomeno è stato già conosciuto ed elaborato in altro modo." Insomma se ne possiamo ridere è perché conosciamo bene l'entità e la pericolosità del problema e di alcune delle figure che lo accompagnano. "L'opportunità che ci ha dato la serie," ha però aggiunto Bises, "è di raccontare figure meno conosciute ed episodi meno noti, che sono solo apparentemente minori e che invece hanno la stessa dignità di quelli che ricordiamo tutti." Completa il discorso Dario Aita: "Si racconta una Sicilia che ancora adesso possiamo scorgere in alcuni angoli, credo che ci sia un filo lungo che andrà avanti ancora a lungo." E infatti è Valentina D'Agostino ad aggiungere: "ogni tanto mi chiama mia madre e mi dice 'quello è uguale a zio...'"
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Un filo che molto probabilmente vedremo dipanarsi nel prossimo futuro, in nuove stagioni che sembrano probabili: "abbiamo concepito la serie come un cammino lungo," ha raccontato Stefano Bises, "Quest'anno abbiamo raccontato sei mesi e stiamo lavorando già a una seconda stagione che arriverà fino all'estate del 1981, un altro anno terribile in cui vengono uccise anche tante figure minori che raramente vengono ricordate."