Matteo Rovere ci ha preso gusto con le serie: dopo Romulus, di cui si è appena conclusa la seconda stagione, stavolta punta il suo obbiettivo sulla Torino di fine Ottocento. Per la precisione siamo nel 1883 e seguiamo le avventure di una donna realmente esistita, Lidia Poët. La prima avvocata d'Italia ha dovuto penare non poco per affermarsi in un mondo non soltanto competitivo, ma all'epoca prettamente maschile. La serie Netflix italiana però non è esattamente la sua biografia: prima di cominciare la recensione di La legge di Lidia Poët bisogna specificarlo.
Sulla piattaforma di streaming dal 15 febbraio, i sei episodi di La legge di Lidia Poët, scritti da Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo, si ispirano alla storia dell'avvocata, ma in realtà questa è una vera e propria serie di indagini, più thriller e crime che fedele ai fatti reali. La sentenza del tribunale che revoca la licenza d'avvocato alla protagonista però è dolorosamente vera: il testo recitato è esattamente quello letto in aula 150 anni fa. Si dice che "non è bene che le femmine si occupino di legge, svalutando la serietà della professione". Parole come pietre, che però la protagonista - sia quella reale che questa di fantasia - non ha lasciato che la definissero.
A interpretare Lidia Poët è Matilda De Angelis, di nuovo sul set con Matteo Rovere dopo Veloce come il vento, film che ha lanciato la sua carriera. Non poteva esserci attrice più adatta per questa parte: De Angelis dà al personaggio la determinazione e l'intelligenza necessarie, ma ha deciso di renderla anche buffa e imperfetta, molto umana. Fin dalle prime immagini capiamo subito di trovarci di fronte a una donna più moderna dell'epoca in cui vive: i vestiti dai dettagli insoliti, quali spille e gioielli a forma di insetti, la casa in affitto (perennemente in arretrato) disordinata, la lingua tagliente e la gioia del sesso non coniugale ne fanno una figura scomoda per la Torino del 1883. E un personaggio invece perfetto per il 2023.
Sono una donna, non sono un'avvocata
La trama di La legge di Lidia Poët è semplice: una donna che ha l'ambizione e le capacità per fare l'avvocato, stesso mestiere del padre, viene ostacolata in tutti i modi. Il fratello Enrico (Pier Luigi Pasino), uomo di legge anche lui, glielo dice chiaramente: ha un diploma da maestra, che insegni. O che si sposi, come tutte le "ragazze normali". A rincarare la dose ci pensa la moglie di Enrico, Teresa (Sara Lazzaro): "Se Dio ti voleva avvocato non ti faceva donna". Insomma, come spesso è accaduto e accade ancora, le donne quando vogliono fare qualcosa, qualsiasi cosa, devono partire da - 50 punti anche solo per essere prese in considerazione. Figuriamoci per essere ritenute credibili.
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Ed è in queste continue difficoltà che Lidia diventa sempre più brava: studia più che può, si aggiorna continuamente, diventando preparata su tecniche all'avanguardia per l'epoca, se non totalmente sconosciute in Italia, come la rilevazione delle impronte digitali e il "guanto volumetrico" (la macchina della verità). Non solo. Più la umiliano e la insultano, più si fa intraprendente, quasi machiavellica: agendo al limite della legalità riesce a risolvere casi che sembrano impossibili.
Ad aiutarla c'è Jacopo (Eduardo Scarpetta), fratello di Teresa, che vive con i Poët: giornalista della Gazzetta Piemontese (che poi sarebbe diventato il quotidiano La Stampa), è affascinato da questa donna così ostinatamente determinata a non farsi mettere in un angolo, a vivere la vita che vuole e non quella che gli altri hanno scelto per lei fin dalla nascita. Il loro rapporto è di complicità e si trasforma presto in una dinamica alla Sherlock Holmes e Watson: esattamente come il detective di Baker Street e il suo fedele compagno di avventure, i due esplorano una Torino sotterranea e inedita, in cui ogni caso diventa il pretesto per parlare di donne. Un delitto porta a parlare di amore lesbico, un altro di lotta di classe. È impressionante come, nonostante molto sia per fortuna cambiato, alcuni pensieri e pregiudizi siano ancora ben presenti nella nostra società.
La legge di Lidia Poët è una serie dalle ambizioni internazionali
Gli elementi classici che "piacciono all'algoritmo" ci sono tutti: un aggancio a una storia vera, una protagonista femminile intelligente, la storia (anzi le storie) d'amore, la linea comica, quella teen, i costumi d'epoca, il filone crime. A fare la differenza però è la personalità di Matteo Rovere (che dirige i primi due episodi, poi la regia è di Letizia Lamartire) e dei suoi attori. Fin dalla fotografia, del sempre più bravo Vladan Radovic (nelle prime due puntate, poi è di Francesco Scazzosi), il regista non si piega allo stile standardizzato dei prodotti da piattaforma streaming, scegliendo di girare anche con luce naturale, a lume di candela e lampada a olio.
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A spalleggiare Matilda De Angelis, magnetica e brillante sul piccolo schermo, ci sono interpreti di pregio quali Eduardo Scarpetta, che abbandona l'accento napoletano per quello piemontese, mostrandosi sempre più versatile, e Pasino, bravissimo nel cambiare registro a ogni scena. Quando Lidia lo supplica di farla lavorare con lui non ne vuole sapere, ma poi ne riconosce le capacità, arrivando a convincersi che la sua battaglia per fare l'avvocata sia giusta. Il rapporto tra i due fratelli è forse il più bello e interessante di tutta la serie.
Ben scritta, in modo semplice e per questo efficace, recitata e diretta, con una Torino splendida, costumi ricercati (di Stefano Ciammitti) e una colonna sonora (di Massimiliano Mechelli) che rispecchia la determinazione della protagonista, La legge di Lidia Poët è una serie italiana dalle ambizioni internazionali, che potrebbe piacere molto in tutto il mondo. E noi lo speriamo: perché questa avvocata a risolvere casi è (quasi) meglio della Signora in giallo. Speriamo di poterla ritrovare in una seconda stagione, con nuovi enigmi da risolvere e uno studio tutto suo.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di La legge di Lidia Poët, la serie Netflix con protagonista Matilda De Angelis diretta da Matteo Rovere, ha ambizioni internazionali: liberamente ispirata alla vita della prima avvocata d’Italia, è un crime ambientato nell’Ottocento, in cui ogni caso permette di parlare di donne. Il cast è eccellente, Torino uno sfondo bellissimo, la fotografia di Vladan Radovic, che usa anche luce naturale, ha molta più personalità della classica “fotografia da piattaforma”. Un prodotto ben fatto e divertente, che speriamo piaccia anche fuori dal nostro paese, in modo da tornare con nuovi enigmi e stagioni.
Perché ci piace
- La regia di Matteo Rovere.
- La fotografia di Vladan Radovic.
- La bravura di Matilda De Angelis.
- I sempre più bravi Eduardo Scarpetta e Pier Luigi Pasino.
- I costumi.
- Torino usata come set.
Cosa non va
- Chi voleva una biografia fedele di Lidia Poët Potrebbe restare deluso.