No, non ti ho mai amato, né te né nessuno; sono guasta dentro. Mi eri utile, come hai detto: solo questo eri per me... fino a un minuto fa.
La prima apparizione di Phyllis Dietrichson, anticipata dalla sua voce fuori campo, ci viene mostrata dalla prospettiva di Walter Neff, l'agente assicurativo che ha appena varcato la soglia della casa della donna: una sagoma femminile in cima a una scalinata, con indosso soltanto un asciugamano. Anche nell'inquadratura successiva, Phyllis continua ad essere ripresa dal basso verso l'altro, in una soggettiva che aderisce allo sguardo di Walter, mentre la voce della padrona di casa si addolcisce; e man mano che il dialogo fra i due si carica di sottintesi, l'inquadratura si fa sempre più vicina alla signora Dietrichson, che invita l'assicuratore ad accomodarsi in salotto. Un minuto più tardi Phyllis rientrerà in scena scendendo la scalinata, con una ripresa che, dal celeberrimo bracciale alla caviglia, si solleva fino a rivelare per intero la sua figura magnetica e slanciata. Siamo soltanto all'inizio del lungo flashback di cui è composta la narrazione de La fiamma del peccato, che il 3 luglio 1944 faceva il suo debutto nelle sale statunitensi.
A qualcuno piace nero: il primo capolavoro di Wilder
Terzo lungometraggio hollywoodiano diretto da Billy Wilder, che come sceneggiatore si era già distinto grazie ai copioni firmati per Ernst Lubitsch (L'ottava moglie di Barbablù, Ninotchka), Mitchell Leisen (La signora di mezzanotte, La porta d'oro) e Howard Hawks (Colpo di fulmine), La fiamma del peccato è l'adattamento di un racconto pubblicato a puntate nel 1936 da James M. Cain, Double Indemnity (edito in Italia con il titolo La morte paga doppio), e ispirato a un famigerato caso di cronaca, l'omicidio di Albert Snyder. Approdata nelle sale in quel 1944 destinato ad assurgere ad anno d'oro del noir, l'opera di Wilder riceve sette nomination agli Oscar, tra cui miglior film e miglior attrice, e contribuirà a definire i canoni del proprio genere di appartenenza, con un impatto sull'immaginario collettivo probabilmente superiore a quello di qualunque altro noir dell'età classica. Un merito da attribuire al talento del regista di origini austriache, ma anche alla protagonista femminile della pellicola: Barbara Stanwyck, che avrebbe consacrato Phyllis Dietrichson fra i ruoli iconici del cinema americano.
Quando, dopo un'iniziale perplessità, accetta di recitare ne La fiamma del peccato, Barbara Stanwyck è già una veterana del set, con ben quindici anni di attività alle spalle (il suo esordio risale al 1929, con La porta chiusa), oltre che uno dei volti più amati dell'industria hollywoodiana. Nata a New York, classe 1907, Ruby Catherine Stevens approda nel mondo dello show business da adolescente, dopo un'infanzia trascorsa negli orfanotrofi in seguito alla morte della madre e all'abbandono del padre; determinata a riscattarsi dalle difficoltà familiari e a raggiungere un'indipendenza economica, a partire dai sedici anni lavora come ballerina e corista. Il suo talento innato le spiana rapidamente la strada per il successo: a vent'anni viene scritturata come protagonista di uno spettacolo di Broadway, Burlesque, che sarà il suo trampolino di lancio per Hollywood, con il nome d'arte di Barbara Stanwyck. Siamo agli albori del cinema sonoro, e la sua verve innata le permetterà di imporsi all'interno di una nuova generazione di divi di una forma d'arte alle prese con una radicale trasformazione.
La fiamma del peccato: come Billy Wilder ha reinventato il cinema noir
Barbara Stanwyck a Hollywood: da Frank Capra a Billy Wilder
L'incontro con Frank Capra, che nel 1930 la dirige in Femmine di lusso, sarà determinante per la carriera della Stanwyck, che nel corso del decennio presterà il volto a personaggi animati da una grande vitalità, capaci di esercitare una sensualità ammaliante ma anche giocosa e, prima dell'insorgere del Codice Hays, non di rado venata di trasgressività: dall'infermiera del thriller L'angelo bianco alla sfrontata arrampicatrice sociale del controverso Baby Face. Diventata a tutti gli effetti una star, Barbara Stanwyck decide di sottrarsi al controllo dello studio system lavorando come freelance per diverse case di produzione: una decisione quanto mai azzardata, per l'epoca, ma che le consentirà un'ampia libertà di scelta dei propri ruoli. Dal western La dominatrice di George Stevens al melodramma Amore sublime di King Vidor, che nel 1937 le vale una prima candidatura all'Oscar, la Stanwyck ha l'occasione di mettere in luce una versatilità sorprendente, sfuggendo ai rischi del typecasting e acquisendo una popolarità via via maggiore.
All'inizio degli anni Quaranta, Barbara Stanwyck si dedica in particolare alla commedia, genere in cui potrà sfruttare appieno la sua vivacità prorompente, ma comunque ammantata di eleganza. Nel 1940 recita con Fred MacMurray in Ricorda quella notte di Mitchell Leisen; nel 1941 affianca Henry Fonda in Tu m'appartieni e soprattutto in Lady Eva, classico della screwball comedy di Preston Sturges, oltre a guadagnarsi una seconda nomination all'Oscar per la sua seducente rivisitazione di Biancaneve in Colpo di fulmine di Hawks. È proprio Billy Wilder a firmare il copione di quest'ultimo film ed è lui che, due anni dopo, le propone la parte di Phyllis Dietrichson. "Amo lo script e amo te, ma dopo aver interpretato eroine per tutti questi anni sono un po' spaventata all'idea di diventare una vera e propria killer a sangue freddo", osserva la Stanwyck, ricevendo da Wilder la seguente replica: "Be', sei un topolino o un'attrice?". Tanto le basta a farsi convincere a cimentarsi con un personaggio squisitamente malevolo in un film che mette al centro del racconto una coppia di assassini, attirando su di sé gli strali di qualche ultra-conservatore, ma pure l'entusiasmo del pubblico e di alcuni illustri estimatori, incluso Alfred Hitchcock.
Pericolo biondo: dalle dive di Hitchcock alla moderna dark lady di Gone Girl
Fascino e crudeltà: ritratto di dark lady
La modernità insita nell'immagine di Barbara Stanwyck è uno dei tratti distintivi della sua dark lady, che circuisce il Walter Neff di MacMurray per poi indurlo a progettare insieme l'omicidio del signor Dietrichson, simulando un incidente e puntando alla doppia indennità dell'assicurazione (da cui il titolo originale, Double Indemnity). Se molte sue colleghe esprimono un fascino più composto, misterioso, talvolta quasi 'letterario', il sex appeal sprigionato dalla Stanwyck si coniuga a una recitazione più naturalistica, a una spigliatezza carica di malizia che costituisce il marchio distintivo della sua femme fatale. Al contempo, Phyllis Dietrichson sfodera pure l'ambiguità tipica delle antieroine del cinema noir: con Walter non esita a mostrarsi inquieta e fragile, quando deve indurlo a prendere le redini del loro piano criminale. Vulnerabilità e forza di carattere sono i due poli opposti esplorati dall'attrice in questo ritratto di villain sfuggente, eppure indimenticabile; a volte addirittura nell'arco della medesima scena, come accadrà con la resa dei conti tra Walter e Phyllis.
Ma se c'è un singolo momento, al di là dell'epilogo, in cui Billy Wilder valorizza al massimo l'apporto della sua protagonista, è la messa in atto del delitto. L'inquadratura rimane fissa sul primo piano di Phyllis, al volante dell'automobile, mentre l'assassinio di suo marito si consuma fuori campo, a pochi centimetri di distanza: la musica di Miklós Rózsa aumenta d'intensità e di volume, ma la cinepresa non si stacca dal volto di Barbara Stanwyck, incorniciato da una folta capigliatura bionda. E quel volto, gli occhi attraversati da un istante di paura a cui fa seguito un lampo di diabolica estasi, le labbra che si stringono a disegnare un sorriso di sottile perversione, restano impressi nella memoria più di qualunque gesto di violenza. Sono dodici secondi, ma tanto basta a suggellare una delle più folgoranti sequenze di omicidio negli annali del cinema classico, nonché a far entrare nell'alveo del mito una delle più incisive dark lady - e una delle più grandi attrici - che abbiano mai dominato lo schermo.