Hanno commesso un omicidio, e non è come prendere un tram, da cui ciascuno scende a suo piacere: sono legati e compiranno insieme tutto il percorso, senza scampo...
La tradizione narra che una mattina Billy Wilder, giunto in ufficio, non trovasse una delle proprie segretarie; una sua collega l'avrebbe informato che la donna probabilmente era chiusa in bagno a leggere "quella storia". "Quale storia?", avrebbe esclamato Wilder, preso dalla curiosità: la storia in questione era Double Indemnity, un racconto appena rieditato in una raccolta dello scrittore James M. Cain... e un anno più tardi il regista avrebbe portato sullo schermo Double Indemnity, conosciuto in Italia come La fiamma del peccato. Non sappiamo con certezza se l'aneddoto della segretaria sia realmente accaduto o sia frutto della mitologia hollywoodiana, ma in fondo poco importa: è anch'esso parte della leggenda nata intorno a uno dei più grandi film mai realizzati.
Gli amanti criminali di Billy Wilder
La fiamma del peccato, terzo lungometraggio americano di Billy Wilder, debutta nelle sale statunitensi il 3 luglio 1944, distribuito dalla Paramount. Il 1944 è indiscutibilmente l'anno d'oro del genere noir: nell'arco di una singola annata escono infatti classici quali Angoscia di George Cukor, La donna del ritratto di Fritz Lang, L'ombra del passato di Edward Dmytryk, La donna fantasma di Robert Siodmak e Vertigine di Otto Preminger (in originale Laura), quest'ultimo un film seminale quasi quanto quello di Wilder. Fra tutti, La fiamma del peccato è il maggior successo di pubblico, si guadagna sette nomination agli Oscar (tra cui miglior film) e sarà canonizzato fra i massimi capolavori di sempre, quelli in grado di segnare la propria epoca, ma pure di lasciare un'impronta sul cinema del futuro: basti pensare all'incalcolabile quantità di suoi epigoni, primo fra tutti lo splendido Brivido caldo di Lawrence Kasdan (1981), quasi una sorta di remake non dichiarato.
Nel momento in cui, insieme al romanziere Raymond Chandler (il creatore del detective Philip Marlowe), inizia a scrivere la sceneggiatura di Double Indemnity, Billy Wilder si imbarca in un progetto rischiosissimo: l'idea di avere come protagonisti una coppia di amanti criminali, già sperimentata nel campo della narrativa, era in compenso pressoché inedita a Hollywood e sfidava apertamente i dettami del rigidissimo Codice Hays. Se il campione d'incassi dell'annata, il pluripremiato La mia via (anch'esso distribuito dalla Paramount), proponeva l'edificante vicenda di due benevoli sacerdoti, il genio corrosivo di Wilder offriva invece agli spettatori la discesa negli abissi della morale di Walter Neff, un assicuratore di Los Angeles che si lascia sedurre dalla moglie di un cliente, Phyllis Dietrichson, e organizza insieme a lei un piano per uccidere suo marito e intascare una doppia indennità di centomila dollari.
Giuseppe Tornatore racconta 8 classici del noir, da Wilder a Hitchcock
'Non sentivo più i miei passi... i miei erano i passi di un morto'
In questo senso, La fiamma del peccato sintetizza alla perfezione alcuni elementi canonici del noir. Il personaggio principale, affidato all'attore Fred MacMurray (noto fino ad allora esclusivamente per ruoli brillanti), è un everyman che si abbandona alle proprie pulsioni e intraprende la strada del crimine, innescando un effetto-domino che non gli sarà più possibile arrestare. È un tema fondante della poetica del noir, sottolineato dall'espediente di sviluppare il racconto come un lungo flashback: l'ineluttabilità delle scelte umane e l'incapacità di mantenere il controllo sulle conseguenze delle proprie azioni. "Non sentivo più i miei passi... i miei erano i passi di un morto", dichiara al dittafono Walter Neff, subito dopo aver rievocato il "delitto perfetto" consumato insieme all'amante Phyllis.
A questo aspetto, Wilder affianca l'altra colonna portante di tutto il suo cinema: l'inganno come modus vivendi, di volta in volta strumento di sopraffazione o di sopravvivenza. Dalla Ginger Rogers che si spaccia per una minorenne in Frutto proibito ai musicisti in abiti femminili di A qualcuno piace caldo, passando per la Marlene Dietrich di Testimone d'accusa e il Jack Lemmon di Irma la dolce, quasi tutti i personaggi di Wilder mentono, recitano (la Norma Desmond di Gloria Swanson in Viale del tramonto), si spacciano per qualcun altro o compiono attività di spionaggio (I cinque segreti del deserto, Stalag 17). La rete di bugie avvilupperà Walter Neff, in un vertiginoso gioco di identità sovrapposte che fungerà pure da meccanismo per l'omicidio del signor Dietrichson; e Wilder rende noi spettatori complici di questi inganni, perennemente accanto alla coppia di assassini e condannati a condividere la loro tensione ogni qual volta rischiano di essere scoperti.
A qualcuno piace caldo: nessuno è perfetto, ma il film di Wilder lo è
'Un'attrice o un topolino?': la dark lady di Barbara Stanwyck
Ad aver reso La fiamma del peccato un film indimenticabile, però, è anche la sua protagonista femminile, frutto di uno dei casting più ispirati nella carriera di Wilder. Nel 1944, la trentatreenne newyorkese Barbara Stanwyck (nome d'arte di Ruby Stevens) è l'attrice più pagata di Hollywood: attiva già dalla fine degli anni Venti, la Stanwyck è una superstar della commedia romantica grazie a film come Lady Eva di Preston Sturges e Colpo di fulmine di Howard Hawks, sceneggiato proprio da Wilder. Di fronte alla prospettiva di cimentarsi per la prima volta con una villainess, Barbara Stanwyck mostra qualche incertezza: "Gli dissi: 'Amo il copione e amo te, ma dopo tutti questi anni interpretando eroine sono un po' spaventata di fare una vera e propria assassina'. E Mr. Wilder, giustamente, mi guardò e disse: 'Be', sei un topolino o un'attrice?'. E io dissi: 'Be', spero di essere un'attrice'. 'Allora fai questo ruolo'. L'ho fatto e gli sono molto grata."
Con Phyllis Dietrichson, Barbara Stanwyck disegnerà l'archetipo, imitatissimo ma mai più eguagliato, della dark lady sensuale e diabolica (l'American Film Institute la eleggerà all'ottavo posto nella classifica dei migliori 'cattivi' di tutti i tempi), capace di fondere sex appeal, malizia ironica e feroce determinazione. Wilder la fa apparire per la prima volta agli occhi di Walter seminuda, si premura di inquadrarle il celebre braccialetto alla caviglia ed esalta al massimo grado gesti, espressioni e sguardi della Stanwyck. Perfino una decisione controversa, rimpianta in seguito dallo stesso Wilder, con il senno di poi contribuirà a rendere Phyllis una femme fatale unica e inconfondibile: la vaporosa parrucca bionda fatta indossare all'attrice. Il boss della Paramount, Buddy DeSylva, commenterà sconsolato in proposito: "Abbiamo assunto Barbara Stanwyck e ci ritroviamo George Washington!".
Pericolo biondo: dalle dive di Hitchcock alla moderna dark lady di Gone Girl
Pulsione erotica e coscienza morale
Dalla folta capigliatura bionda ai look vistosi ed eccentrici, Phyllis Dietrichson è una dark lady portata all'eccesso, ma alla quale la Stanwyck conferisce un'imperscrutabile ambiguità, tenendola in sospeso tra fascino e minaccia; addirittura nell'epilogo, quando la donna dichiara con orgoglio la propria natura perversa ("Sono guasta dentro"), lasciando però un ultimo dubbio sui suoi reali sentimenti. Fra le innumerevoli scene da antologia, inclusi gli incontri clandestini all'emporio, una in particolare si stampa nella memoria: l'assassinio del signor Dietrichson. Billy Wilder confina il delitto fuori campo, a qualche centimetro dal bordo dell'inquadratura, e tiene la macchina da presa puntata sul volto della Stanwyck: è il suo primo piano, il lampo voluttuoso che le brilla negli occhi, l'accenno di sorriso sulle labbra, a trasmetterci tutto l'orrore e l'estasi dell'omicidio.
Se Phyllis Dietrichson, l'oscuro oggetto del desiderio di Walter Neff, incarna l'attrazione per l'illecito, la pulsione erotica che induce alla trasgressione, l'investigatore della compagnia assicurativa, Barton Keyes, si pone sul polo diametralmente opposto: Keyes è il custode del rispetto della legge, l'emblema del raziocinio come unico criterio di vita, la bussola morale di Walter. Edward G. Robinson, altro attore magnifico della Hollywood classica, ne dipinge un ritratto magistrale, amalgamando i modi burberi all'implicito affetto che dimostra verso il collega, inconsapevole che proprio l'amato Neff è l'uomo misterioso a cui sta dando la caccia. In una delle scene più famose del film, Wilder usa la profondità di campo per racchiudere i tre comprimari in una singola inquadratura, con Keyes sulla soglia dell'ascensore e Phyllis nascosta dietro una porta: un errore clamoroso (la porta di un appartamento che si apre verso l'esterno), ma da cui deriva uno dei più alti momenti di suspense negli annali del cinema noir.
Da Viale del tramonto a Barton Fink: il lato oscuro di Hollywood in sette black comedy da antologia
'Più vicino ancora, Walter...'
Il conflitto implicito nella sfida fra Barton Keyes e i due protagonisti, quello fra le regole e i desideri, è uno dei perni attorno a cui ruota l'intero universo cinematografico di Billy Wilder, nonché una delle ragioni della tenebrosa bellezza di Double Indemnity. In Wilder, i conflitti non sono mai costruiti in maniera manichea, non esistono visibili cesure fra il bene e il male; neppure nei suoi gialli, da Testimone d'accusa a Vita privata di Sherlock Holmes. I personaggi wilderiani si muovono piuttosto fra i chiaroscuri, in un'immensa "zona grigia" che chiama inesorabilmente in causa il pubblico, provando a incrinarne le certezze: ecco perché Wilder è un regista che ha suscitato spesso polemiche e accuse di immoralità, perfino con una commedia sentimentale come L'appartamento.
E ne La fiamma del peccato, tali chiaroscuri assumono forma e spessore: nella villa dei Dietrichson, con le veneziane alle finestre che creano una rete di luci e ombre simili alle sbarre di una gabbia; nei repentini passaggi dalle giornate assolate della California agli scenari notturni che fanno da cornice ai misfatti dei personaggi; e in un finale in cui la 'condanna' del villain si carica dell'amarezza per una redenzione impossibile e per un'indagine che ha avuto la più dolorosa delle conclusioni. "L'uomo che cercavi ti era troppo vicino... nella stanza accanto alla tua"; "Più vicino ancora, Walter". Quanti film possono vantare una chiusura tanto perfetta e struggente?