La ferrovia sotterranea, la recensione: Barry Jenkins cerca la bellezza nell'orrore della schiavitù

La recensione de La ferrovia sotterranea, focus sullo schiavismo firmato dal premio Oscar Barry Jenkins, su Amazon Prime Video dal 14 maggio.

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The Underground Railroad: un'intensa scena della serie

Lo sguardo estetizzante di Barry Jenkins e l'epico romanzo di Colson Whitehead erano fatti per incontrarsi. Non ne fa un mistero la nostra recensione de La ferrovia sotterranea, serie in 10 episodi disponibile su Prime Video dal 14 maggio. Accomunati da un profondo senso di rivalsa e dalla precisa volontà di restituire all'epopea del popolo afroamericano la nobiltà di cui è stata privata troppo a lungo, i due artisti danno vita a quella che potrebbe diventare una pietra miliare per la cultura black. Oltre ad aver firmato il romanzo premiato col Pulitzer, Colson Whitehead figura tra i produttori esecutivi dello show insieme allo stesso regista, a Brad Pitt e alla sua socia di Plan B Dede Gardner.

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The Underground Railroad: Thuso Mbedu in una scena della serie

La ferrovia sotterranea racconta un viaggio rocambolesco e doloroso attraverso numerosi stati del Sud degli USA, dalla Georgia dei campi di cotone alla Carolina del Sud e del Nord, dal Tennessee all'Indiana, filtrato attraverso lo sguardo dolente di Cora, schiava reietta abbandonata dalla madre, ma circondata da un'aura speciale. Storicamente, la ferrovia sotterranea (underground railroad) aveva poco a che vedere con binari e locomotive. Il nome indicava, infatti, una rete di sentieri, nascondigli, case sicure e persone che si adoperavano per agevolare la fuga degli schiavi verso il Canada, il Messico o addirittura oltreoceano. Il primo a raffigurare la ferrovia sotterranea come un sistema di binari che corre sotto gli stati sudisti è Colson Whitehead nel suo romanzo ucronico, idea che si trasforma in potente metafora visiva nella serie di Barry Jenkins.

La libertà di un artista supera i limiti del formato

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The Underground Railroad: un ballo tra Thuso Mbedu e Aaron Pierre

Dopo alcune incursioni nel piccolo schermo, tra cui un episodio di The Knick, La ferrovia sotterranea rappresenta, per il premio Oscar Barry Jenkins, il battesimo con la serialità. Sarà il tema particolarmente sentito, sarà l'ispirazione del materiale di partenza, sta di fatto che il regista di Moonlight e Se la strada potesse parlare riesce ad adattare il suo stile inconfondibile a un formato per lui inedito senza sacrificare il gusto per l'immagine densa e stilizzata. Ne La ferrovia sotterranea, forma e contenuto si fondono in un felice connubio che vede Jenkins addirittura in grado di superare certi vezzi che fanno capolino nei suoi primi due lungometraggi, rendendoli funzionali al ritmo del racconto.

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The Underground Railroad: un gruppo di schiavi in fuga

Ritmo che, per altro, segue un andamento libero che alterna momenti di sospensione simbolica a scene concitate di inaudita brutalità. A dimostrare la volontà di Barry Jenkins di aderire alla serialità senza farsene ingabbiare ci pensa anche il formato degli episodi che varia per durata e forma, con qualche sorpresa a livello di continuità temporale. La ferrovia sotterranea non è la prima serie tv a forzare il medium per reinventarlo. Pochi mesi fa un'altra serie black, Lovecraft Country, anch'essa basata su un romanzo e anch'essa legata a una prospettiva storica sulla lotta per i diritti civili, aveva svelato la sua natura avventurosa modellando ogni singolo episodio su un genere diverso. Ma lo show di Barry Jenkins si distingue tanto per originalità quanto per eleganza.

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La storia americana narrata da un punto di vista inedito

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The Underground Railroad: un'immagine di Lucius Baston

La ferrovia nascosta è un urlo di dolore trattenuto. L'urlo di un intero popolo si legge negli occhi di Cora, magistralmente interpretata dalla giovane attrice sudafricana Thuso Mbedu. Sguardo basso, andatura claudicante, la schiena solcata dalle cicatrici delle frustate, Cora trascina nella fuga il suo corpo macchiato dal peccato originale di essere nata in catene. Eppure la regia di Barry Jenkins suggerisce l'eccezionalità della ragazza disseminando di simboli i dieci episodi che vanno a comporre lo show. Thuso Mbedu e il resto del cast sono materiale plasmabile nelle mani sapienti del regista che si concentra sui tratti distintivi di ogni singolo personaggio, ma il suo interesse primario è quello di rappresentare la comunità afroamericana come un unicum di cui fanno parte schiavi e nati liberi, tutti uniti nel tentativo di rivendicare la propria dignità.

Un cast in stato di grazia

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The Underground Railroad: una foto di scena

Barry Jenkins si concede lunghe e suggestive sequenze statiche in cui i personaggi, immobili come statue o fotografie di un'altra epoca, lanciano occhiate solenni dritte in camera. In questi tableau vivant la storia viene "messa in pausa" per dar corpo a un sentimento più profondo che serpeggia per tutto lo show. Queste pause invitano lo spettatore ad aderire a un punto di vista diverso della storia americana, che non troveremo nei libri. Il senso di appartenenza alla comunità afroamericana e la dignità che ne deriva sono il faro guida de La ferrovia sotterranea. A ribadirlo è anche la presenza di Homer, l'unico personaggio di colore pronto a tradire i suoi fratelli per via dell'imprinting ricevuto dall'uomo bianco che lo ha allevato, privandolo della coscienza di essere parte di una comunità.

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The Underground Railroad: una scena della serie

In un cast corale di interpreti di colore non troppo noti, ma capaci di eccezionali performance, si distinguono lo ieratico Aaron Pierre, la carismatica Amber Gray e l'intensa Sheila Atim nel ruolo di Mabel, la madre di Cora, di cui facciamo la conoscenza nei flashback. I nomi più noti sono relegati in ruoli secondari a esclusione di Joel Edgerton, a cui Barry Kenkins affida uno dei personaggi chiave del film, quello del cacciatore di schiavi Arnold Ridgeway. Nemesi di Cora, Ridgeway è una figura complessa e tormentata a cui il regista dedica un intero episodio per approfondirne le motivazioni.

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Gioie e dolori del binge watching

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The Underground Railroad: una suggestiva immagine della serie

La scelta di Prime Video di distribuire tutti gli episodi di La ferrovia sotterranea in un colpo solo potrebbe non fare un buon servizio alla serie. La densità narrativa e la complessità emotiva dello show richiedono una lenta assimilazione, e non solo per la violenza e l'orrore insiti in alcune sconcertanti sequenze il cui impatto è amplificato dalla maestosa fotografia di James Laxton. Ogni episodio è un'esplorazione dell'animo dei personaggi, un viaggio nelle ferite di una nazione non ancora sanate. In un prodotto in cui forma e contenuto si compenetrano, la natura on the road del racconto riflette, in nuce, le tappe di avvicinamento alle moderne lotte per i diritti civili e, più simbolicamente, l'attraversamento di un lungo inferno sulla terra da parte di personaggi che potrebbero anche non arrivare mai "a riveder le stelle".

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The Underground Railroad: una location dello show

Ogni sequenza de La ferrovia sotterranea è intrisa di un profondo misticismo che va oltre la dimensione religiosa tour court e sembra far riferimento a una spiritualità primigenia che si sprigiona dai corpi, dal sangue, dalla terra, dal trauma della nascita. Il tutto veicolato con grande intensità dalla regia di Barry Jenkins, dal suono, dal colore, dal potente contrasto tra le composizioni di Nicholas Britell e i brani contemporanei hip hop posti a epilogo di ogni episodio. Per dirla con Variety, "Barry Jenkins ha plasmato qualcosa di straziante, emotivo e quasi troppo grande per essere compreso tutto in una volta". Per questo vi consigliamo di centellinare lo show, permettendogli di crescere giorno dopo giorno. Non ve ne pentirete.

Conclusioni

La dolorosa epopea della schiavitù del popolo afroamericano filtrata attraverso la sensibilità di un artista visionario. La recensione de La ferrovia sotterranea mette in luce le straordinarie qualità dell'esordio di Barry Jenkins nel mondo della serialità con un prodotto che incanta e indigna con sequenze di sconvolgente bellezza e profonda crudeltà. L'urlo silenzioso della schiava Cora è l'urlo di un intero popolo che cerca di riconquistare la libertà e dignità perduta. Un prodotto magistrale da gustare a poco a poco per assaporarne ogni dettaglio.

Movieplayer.it
4.5/5
Voto medio
4.4/5

Perché ci piace

  • La perfezione estetica si fonde alla profondità narrativa in un prodotto originale e sconvolgente.
  • Barry Jenkins nobilita la storia del popolo afroamericano sfruttando al meglio gli strumenti a disposizione.
  • Tutte le performance sono perfettamente funzionali al tono e all'atmosfera dello show.
  • Alcune sequenze raggiungono vette di struggente poesia.

Cosa non va

  • La scelta di distribuire la serie in un colpo solo non inganni il pubblico, il consiglio è di goderla a poco a poco per permetterle di sedimentare negli occhi e nell'anima.