Recensione Amarcord (1973)

Un film poetico nelle sue forme più varie: dalla caduta dei piumini che segnano l'inizio della primavera alla danza nella nebbia dei ragazzi, dalle luci del transatlantico alla neve "inaspettata", alle parole dei protagonisti.

La fantasia dei ricordi

L'estate scorsa chi scrive camminava per le strade di Rimini, con l'aria sognante e la musica di Nino Rota in testa alla ricerca del vecchio Borgo San Giuliano, dove il maestro Federico Fellini ha vissuto e dove ha ambientato il suo capolavoro Amarcord. Perso l'orientamento, una richiesta di indicazioni e poi il cuore di colpo in gola. Il cinema Fulgor, dove Federico vide il primo film e capì che quello sarebbe stato il suo mondo.

Le emozioni vissute quel giorno si possono ritrovare guardando Amarcord: un film che porta lo spettatore a viaggiare con la mente, soffrendo e sorridendo di quei momenti che hanno segnato la sua vita.
Amarcord significa, in dialetto romagnolo, "mi ricordo", ma al suo interno contiene parole come amore, amaro, ricordare e cuore. Come dire tutto ciò che segna la vita di una persona. In questo film Fellini ha ricostruito a Cinecittà la Rimini degli anni'30, il vecchio borgo così com'era: carico di poesia e di magia.
Dalle parate fasciste all'Eiar, dall'arrivo del transatlantico Rex alla grande nevicata, dal cinema Fulgor alle vicende che coinvolgono l'intera comunità.
Il film è formato infatti da diversi episodi che si intrecciano nella vita del Borgo e ne fanno emergere le passioni, le speranze, le delusioni, la comicità, le sofferenze e le contraddizioni.

I personaggi sono molto diversi tra loro ma tutti, in un certo senso, sono uniti dall'atmosfera sognante del Borgo che tiene tutti fra le sue braccia: la rossa Gradisca che stimola le fantasie dei giovani, la prosperosa tabaccaia, le vicende familiari di Aurelio e Miranda, lo zio Teo che si rifugia su un albero e grida "Voglio una donna", la ninfomane Volpina, il motociclista che passa velocissimo, i giovanotti e le loro burle, il bizzarro Biscein e l'avvocato che ci racconta storie sulla vita del borgo e sulle sue opere d'arte rivolgendosi direttamente verso la macchina da presa, verso di noi.
Le vicende di questi personaggi ruotano attorno alle loro aspirazioni per il futuro e alle loro considerazioni sul presente. Uno spaccato di "vita da paese" con la mitizzazione del Grand Hotel, visto da tutti come punto d'arrivo, l'ironia marcata sulla scuola e sulla chiesa e i loro sistemi.
Il tutto legato dalla fantasia e dalla creatività di Fellini che qui vede la sua massima espressione. I personaggi sognano, desiderano, immaginano e il confine con la realtà diventa molto labile.

Un film poetico nelle sue forme più varie: dalla caduta dei piumini che segnano l'inizio della primavera alla danza nella nebbia dei ragazzi, dalle luci del transatlantico alla neve "inaspettata", alle parole dei protagonisti. Non possiamo non meravigliarci di fronte a queste immagini e alle emozioni dei personaggi: Fellini ci porta nel suo mondo e quando il film finisce una lacrima potrebbe scendere dal nostro viso. Mai abbiamo sentito un film così vicino a noi, alla nostra vita.