Da Cannes a Lucca Comics, con un passaggio in quel di Roma, il cammino de La famosa invasione degli orsi in Sicilia è stato accompagnato da entusiasmo e qualche meritato riconoscimento, non per ultimo il premio della regia di Alice nella città. E finalmente questa calorosa accoglienza potrà allargarsi al pubblico delle sale, grazie alla distribuzione curata da BIM a partire del 7 novembre. Il film è ispirato all'omonimo romanzo di Dino Buzzati e vanta un comparto grafico di grandissimo pregio, con un lavoro sul colore straordinario e una resa dell'animazione tradizionale che spicca per profondità e calore (ne abbiamo parlato anche nella nostra recensione de La famosa invasione degli orsi in Sicilia realizzata a Cannes). Aspetti di cui si è dimostrato giustamente orgoglioso il regista Lorenzo Mattotti nella nostra chiacchierata in quel di Lucca, elogiando i risultati ottenuti dal suo team artistico e le scelte fatte per adattare l'opera di Buzzati e trovare le voci migliori per ogni personaggio che ne anima la storia.
I fuochi d'artificio delle voci italiane
Non ha avuto paura che delle voci così riconoscibili potessero distogliere l'attenzione dello spettatore dai personaggi?
Un primo punto da sottolineare è che le voci originali le abbiamo fatte in francese, prima che si facesse tutta l'animazione. Avevamo già fatto delle prove anche con degli attori italiani, perché volevamo che ci fosse questa italianità, quindi avevo già selezionato alcuni, come Guzzanti. Ho sempre voluto Antonio Albanese come Gedeone, era lui nella mia testa, così come non ho avuto dubbi quando si è trattato di scegliere la voce di Almerina: cercavo qualcuno che fosse esattamente come Linda Caridi, non ho avuto dubbio non appena l'ho sentita. Sono andato alla ricerca delle voci per i miei personaggi, se poi somigliavano ad attori già conosciuti andava bene, ma io cercavo delle caratteristiche in particolare e per questo non ho riflettuto molto su questo problema. Quello che volevo nel fare il doppiaggio italiano è che le voci fossero molto caratterizzate, per sottolineare le differenze tra i vari personaggi, visto che abbiamo umani, orsi a una specie di burattini. Ci sono dialoghi molto complessi, anche con tre o quattro personaggi che parlano, e volevo che fossero chiari da seguire. Ma volevo anche che si adattassero bene ai volti dei personaggi. Guzzanti ha cambiato molto la sua voce nel doppiare, così come Toni Servillo a cui ho chiesto di fare un tono più grosso e caricaturale, forse giusto Albanese ricorda un po' i suoi personaggi. Poi è ovvio che quando viene fuori Camilleri si nota subito, ma non è diverso da Jean-Claude Carrière che abbiamo nella versione francese, il grande sceneggiatore di Bunuel, una scelta simbolicamente bella e importante. Forse ho scelto Camilleri proprio per questa sua caratteristica e credo dia molta forza al personaggio. Una cosa è certa è che non abbiamo disegnato i personaggi pensando a chi li avrebbe doppiati.
Ci si ripensa molto anche dopo aver visto il film, scelte come Guzzanti per Salnitro sono perfette, potrebbe funzionare anche con lui in carne e ossa.
Non sono un esperto di film umoristici, la mia natura è molto più drammatica e contemplativa, quindi uno dei miei punti di riferimento è L'armata Brancaleone, per il divertimento nell'utilizzo delle voci. Pensavo molto alla commedia dell'arte, alle maschere, suggestioni che mi hanno aiutato molto, così come la scelta di usare i dialetti, come il veneto per Ambrosi, perfetto per rendere la velocità dell'attore francese. Trovo che la versione italiana sia più divertente di quella francese, che è più raffinata e classica, mentre la nostra è un fuoco d'artificio. I nostri doppiatori hanno inventato delle parole che ormai sono entrati nel mio uso quotidiano, nelle conversazioni con mia figlia che continua a usarle. Sono due versioni complementari.
Raccontare con colori e ombre
Ho amato moltissimo i colori del film: come avete scelto quali usare per le diverse ambientazioni?
Li abbiamo scelti fin dall'inizio, sono abituato a lavorare molto sul colore e ho cominciato a fare delle prove sin da subito. Inoltre ci sono i colori usati da Buzzati che sono molto strambi e abbiamo cercato di richiamare, come certi verdi e rossi delle sue illustrazioni. Ho fatto molte prove in prima persona, perché volevo che ogni piano fosse molto caratterizzato graficamente, che avesse la sua forza, ma il vero momento importante è la realizzazione del colorboard, uno storyboard colorato, in cui si prende un'immagine di ogni piano e si fa a colori, in modo molto schizzato, per avere un'idea dell'andamento cromatico del film, in cui noti se c'è qualcosa fuori posto. Va detto che Julian De Man, il mio capo decoratore, ha fatto un lavoro straordinario! Abbiamo lavorato col colore senza timore, continuavo a dire "non abbiamo paura del colore!" Trovo che sia una fonte di energia visiva e fisica che non si utilizza tanto in generale. Per questo amo Yellow Submarine dei Beatles che è un'esplosione di colori, amo la psichedelia, amo il colore, quindi l'abbiamo usato in tutte le maniere cercando di creare immagini molto nette e precise, senza nebbie che tanti mettono nel compositing per coprire errori. Volevo che fosse tutto pulito e chiaro, che si potesse vedere una piccola luce in fondo nella valle, un'ombra che passa, che lo sguardo potesse perdersi per arricchire la visione.
Mi ha colpito molto la luce, perché il film non è illuminato come un film in 2D
Ho detto fin da subito che avrei voluto ombre su ogni personaggio e un grande compositing. Volevo che ogni personaggio avesse un suo volume, che avesse aria attorno. Molti film d'animazione sono claustrofobici, io volevo usare l'aria che c'è nel cinema, con grandi profondità. Abbiamo specializzato un team di almeno otto persone solo per fare le ombre, un lavoro parallelo all'animazione ma fondamentale. Se abbiamo avuto qualche ritardo è stato proprio perché non ci arrivava il materiale da uno studio in Ungheria che ci lavorava. Ho voluto seguire tutte le ombre, compreso le metamorfosi e quelle dei fantasmi, è stato un lavoro enorme su tutti i personaggi.
Quindi il film è tutto 2D?
Tutti i personaggi principali sono in 2D, mentre sono in 3D gli eserciti degli orsi, i militari, le barche e il serpente. Anche tutti gli effetti speciali e le onde del mare sono in 2D, abbiamo dato solidità e profondità ai personaggi con ombre e illuminazione. Poi c'è tutto il lavoro con il compositing che aiuta tantissimo, è lì che il film prende forme, quando si mettono insieme i pezzi e si vede l'immagine finale. È un momento fondamentale, perché puoi cambiare i colori, aggiungere un raggio di luce o un'ombra in fondo, distorcere le ombre. È il momento in cui finalmente fai il regista di quello che vedi e non quello che immagini che sarà.
Un lavoro molto simile a quello fatto per Klaus di Netflix?
Una parte della mia equipe, una volta finito il film, ha aiutato per finirlo in tempo. Sì, è un tipo di lavoro simile e si ottengono buono risultati perché il compositing ti permette di lavorare in modo volumetrico. Il 3D ti influenza molto anche graficamente, è meno poetico. Ci sono programmi che permettono di lavorare in 3D e coprire tutto con il disegno a mano, come fatto per Ho perso il mio corpo. Noi abbiamo lavorato con Golem che era stato usato per effetti visivi e sono state necessarie delle modifiche per permetterci di lavorarci.
Il finale del film lascia in modo più sospeso del romanzo, come l'ha scelto?
Trovavamo il finale di Buzzati troppo malinconico e un po' datato. Avendo inventato Almerina e Gedeone, abbiamo inserito lo sguardo dello spettatore e abbiamo voluto concludere il film con una sorta di riflessione ottimistica. Avevamo anche disegnato un finale diverso, ma abbiamo preferito quello che vedrete in sala sul quale ci siamo decisi proprio un paio di mesi prima di terminare la lavorazione. Questo lascia lo spazio per la riflessione, di immaginare un proprio finale.
L'animazione del mondo
Che ne pensa della situazione attuale dell'animazione mondiale?
Non sono un grandissimo esperto, anche perché per quattro anni mi sono rifiutato di guardare film del settore per non farmi influenzare, né farmi deprimere da quello che non riuscivamo a fare. Posso dire che in Europa si stanno facendo cose molto belle. In quanto Europei siamo molto più raffinati, ci differenziamo maggiormente perché ogni regista ha un suo mondo poetico e un suo stile, mentre in America si trova una forma e si deve ripetere, bisogna uniformarsi a quello che funziona. A livello tecnico la Francia è il paese migliore, ci sono quattro o cinque produzioni in corso molto promettenti e stanno crescendo come esperienza da vent'anni. La Francia è riuscita a fare una vera politica di sviluppo in questo campo e ora raccoglie i frutti. Mi chiedo sempre: ci sarebbe stata una produzione italiana che avrebbe preso un autore francese, partendo da un autore francese finanziandolo completamente? Me lo chiedo. Questa è la vera distruzione dei muri, un tempo si faceva, ma oggi è veramente molto difficile. Ci sono aperture culturali che da noi mancano. Noi abbiamo paura di essere inferiori, temiamo di perdere qualcosa, ma invece ci arricchiamo se accogliamo gli altri.
Il film è passato per diversi festival, sempre accolto benissimo. Cosa si aspetta come accoglienza da parte del grande pubblico?
Siamo contentissimi, la nostra scommessa l'abbiamo già vinta. Il bello è che la gente che lo va a vedere ne è entusiasta. Il problema è mandare il pubblico a vederlo, forse ha paura che sia troppo raffinato, troppo diverso. Una signora mi ha detto "mi stavo chiedendo se andasse bene per i miei figli, è così diverso dagli altri. Sono così abituati a vedere tante schifezze..." Hanno paura di portare i figli a vedere qualcosa di diverso. Così non ci siamo, quando si arriva a questo punto c'è poco da fare. Allora bisogna insistere che è per tutti. Abbiamo fatto un film popolare, che possa piacere a tutti, figuriamoci se passavo sei anni a lavorare a qualcosa per me! A sessant'anni mi sono preso la responsabilità di fare qualcosa per il pubblico giovane, superando la nostra ossessione per il proprio mondo interiore.